CIGS INPS: con la pubblicazione del messaggio n. 4272 del 29 novembre 2023 l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha fornito le istruzioni operative e contabili per quanto riguarda la nuova normativa che è stata introdotta in merito all’integrazione salariale straordinaria per le imprese che rientrano nei c.d. piani di sviluppo strategico.

Il suddetto messaggio INPS, in particolare, che è stato redatto dalla Direzione Centrale Ammortizzatori Sociali, dalla Direzione Centrale Entrate, dalla Direzione Centrale Bilanci, Contabilità e Servizi Fiscali, e dalla Direzione Centrale Tecnologia, Informatica e Innovazione, fa riferimento alle disposizioni legislative che sono contenute all’interno del del decreto legge n. 104 del 10 agosto 2023, il quale è stato pubblicato all’interno della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 104 del 10 agosto 2023.

Tale decreto, nello specifico, recante “Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”, è stato successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge n. 136 del 9 ottobre 2023, la quale è stata pubblicata all’interno della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 236 del 9 ottobre 2023.

Senza indugiare ulteriormente, quindi, andiamo subito a vedere insieme tutte le principali novità e le principali informazioni che sono state introdotte in materia di CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) per le imprese rientranti in piani di sviluppo strategico, nonché le istruzioni che sono state fornite da parte dell’INPS a tal proposito.

CIGS INPS: i requisiti necessari per le imprese rientranti in piani di sviluppo strategico

Come abbiamo già accennato anche durante il corso del precedente paragrafo, l’art. 12 quater del decreto in oggetto ha introdotto delle nuove norme per quanto riguarda i trattamenti di integrazione salariale straordinaria (CIGS) che vengono riconosciuti nei confronti delle imprese industriali rientranti in piani di sviluppo strategico.

A tal proposito, dunque, quei datori di lavoro che hanno acquisito il controllo di imprese che operano all’interno di aree che si trovano nei piani di sviluppo strategico relativi ad una ZES (Zona Economica Speciale), in seguito alla partecipazione ad una procedura di avviso pubblico, potranno usufruire della CIGS per i propri lavoratori anche nelle ipotesi che erano precedentemente escluse dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 22, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015.

Nello specifico, quindi, non si applicano più le seguenti limitazioni:

  • il possesso di un’esperienza lavorativa pari ad un minimo di 30 giorni a partire dalla data in cui è stata presentata l’apposita domanda di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale per il lavoratore interessato, presso l’unità produttiva per la quale è stata inviata la richiesta (art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015);
  • il rispetto del limite massimo pari all’80% delle ore lavorabili all’interno dell’unità produttiva interessata, durante l’arco di tempo di cui al programma autorizzato (art. 22, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015).

Cosa si intende per ZES?

In base a quanto è stato disposto all’interno dell’art. 4, comma 2, del decreto legge n. 91 del 20 giugno 2017, il quale è stato successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 3 agosto 2017, per ZES si intende una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, che si trova all’interno dei confini dello Stato e che è formata anche da quelle aree che si trovano nelle immediate vicinanze.

Le ZES, acronimo di Zona Economica Speciale, viene istituita mediante la pubblicazione di un apposito decreto da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale viene adottato dietro presentazione di una proposta da parte del Ministro per la Coesione territoriale e il mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze e con il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti.

Tali zone, in particolare, si riferiscono alle Regioni italiane che vengono identificate come le “meno sviluppate” oppure “in transizione”, in base a quanto previsto dalla normativa europea di riferimento.