Perché scegliere la pensione integrativa se si versano i contributi previdenziali pubblici per andare in pensione da lavoro? Le ragioni di un’integrazione del futuro assegno di pensione sono molteplici e dipendono, essenzialmente, dalla perdita di vantaggio che ha subito la pensione pagata dall’Inps rispetto ai contributi versati nel corso degli ultimi decenni. Infatti, dagli anni ’90 in poi il sistema previdenziale ha subito varie riforme e modifiche nel tentativo di divenire sostenibile, cioè un meccanismo che, essenzialmente, potesse vivere dei contributi versati dai lavoratori senza pesare sui conti pubblici. 

Tutti i meccanismi sui quali si sono basate le pensioni fino alla fine del secolo scorso sono andati in crisi. In primis, la speranza di vita – quasi sempre in aumento tranne che negli anni di Covid e successivi – unita al sempre più basso tasso delle nascite, ha determinato l’invecchiamento della popolazione e l’allungamento del periodo di pagamento delle pensioni.

Tuttavia, proprio negli ultimi 30 anni, il tasso di crescita dell’Italia si è stabilizzato su valori prossimi all’1%, se non più bassi, influendo anche sul calcolo delle pensioni e sulla rivalutazione delle stesse. La discesa del numero dei lavoratori in termini assoluti, poi, ha fatto il resto, con l’allargamento di quel deficit di lavoratori che pagano i contributi e sorreggono tutto il sistema. 

Perché scegliere la pensione integrativa e cosa considerare per la convenienza

Scegliere la pensione integrativa è dunque sinonimo di difesa del valore del futuro assegno nel tentativo di assicurare a se stessi (o alle persone che si hanno in carico) un tenore di vita migliore rispetto a quello che si prospetta con la sola pensione da lavoro. Infatti, quest’ultima, negli ultime tre decenni è sempre andata più al ribasso, determinando il ricorso dei lavorati pubblici e privati a formule di previdenza complementare

In particolare, negli ultimi decenni è costantemente diminuita la quota dei lavoratori di provenienza dal sistema previdenziale retributivo e, di conseguenza, è aumentata quella di chi appartenga al sistema previdenziale contributivo puro (post 1995). Più contributi si sono pagati durante la vita lavorativa, maggiore è l’importo della pensione.

Con il retributivo si andava in pensione con un assegno di importo quasi a quello dell’ultimo stipendio. Chi esce oggi dal lavoro riceve un assegno ben lontano dalla retribuzione lavorativa. E le proiezioni sono sempre peggiori. Per arginare questo handicap e continuare a garantire, all’ex lavoratore, un tenore di vita che si avvicini a quanto prendeva di stipendio, le pensioni integrative (chiamate, per questo motivo, anche pensioni di scorta), possono rappresentare la soluzione più conveniente. 

Perché pensione integrativa e ricalcolo contributivo della quota 103

L’importanza e la necessità di ricorrere alle pensioni integrative si farà sentire sempre di più con il passare degli anni. Alcune misure di pensione anticipata, infatti, adottano il ricalcolo contributivo anche se il lavoratore ha anni di contributi versati nel sistema retributivo, più conveniente.

Ad esempio, nel 2024 per la quota 103 è richiesta l’accettazione del ricalcolo contributivo, anche se il lavoratore ha anni di contribuzione pre-1996. Il ricalcolo incide in negativo sull’assegno di pensione incrementando l’importanza di avere una pensione di scorta, anche questa versata dall’Inps in base ai pagamenti effettuati ai fondi pensione. Chi si ritrova una futura pensione complementare può ridurre lo scarto tra la pensione da lavoro attesa e quella che effettivamente viene pagata. 

Pensioni complementari, chi deve aderire?

Infine, i requisiti per andare in pensione sono stati innalzati e continueranno la loro crescita nei prossimi anni, in risposta all’aumento della speranza di vita che tornerà a salire dopo aver pagato gli anni di Covid. Attualmente la vecchiaia è fissata a 67 anni di età, mentre chi inizia a lavorare oggi andrà in pensione almeno a 71 anni di età, secondo l’Ocse.

Ciò significa che i requisiti di uscita aumentano in media di un anno ogni decennio e che servirà la pensione complementare per coprire anche i buchi contributivi che interessano soprattutto le giovani generazioni. Chi prima aderisce ai fondi pensione, spalma meglio i versamenti negli anni e può permettersi anche investimenti in fondi pensione più rischiosi.