Bitcoin e le altre criptovalute rappresentano una realtà sempre più diffusa. Se ancora non siamo arrivati alla cosiddetta adozione di massa, la strada sembra essersi fatta meno impervia, in tal senso. Ad affermarlo un rapporto pubblicato da non molto, “Triple A: Cryptocurrency Around the World”, secondo il quale alla fine di quest’anno saranno 420 milioni le persone di ogni angolo del globo che possiederanno valuta digitale.
Molte di loro, però, lo fanno con il semplice intento di guadagnare dalle variazioni di prezzo o utilizzandole come strumenti d’investimento. Mentre nella vita reale i pagamenti in criptovaluta stentano ancora a decollare. Il motivo è abbastanza semplice: sono lenti e spesso costosi. Tanto da spingere molti analisti a vaticinare che per queste transazioni saranno utilizzate le Central Bank Digital Currency. Di cosa si tratta?
CBDC: di cosa si tratta?
Per valuta digitale emessa da una banca centrale (CBDC) si intende una forma digitale di valuta fiat. Si tratta quindi di valuta sovrana digitalizzata sotto la direzione di un organismo centralizzato. Proprio per questo motivo secondo molti osservatori si tratta di cosa ben diversa dalla tradizionale criptovaluta.
Bitcoin e Altcoin, infatti, partono da un mantra ben preciso: decentralizzazione. Intendono cioè sottrarre questo genere di valuta alla guida di un centro direzionale e farne uno strumento in grado di promuovere l’inclusione. I suoi sostenitori pensano che in tal modo si possa dare vita ad un nuovo sistema economico aperto a tutti. Non ci sono limiti geografici o barriere di alcun genere per la loro diffusione e utilizzo.
Se gli obiettivi di fondo non sono perseguibili da uno Stato, che è delimitato da frontiere, il funzionamento del denaro digitale rappresenta però un modello valido anche nel suo caso. Tanto che molti Paesi, o meglio le loro banche centrali, stanno studiando una CBDC. A partire dalla Cina, che è ormai a buon punto nella sua realizzazione.
La CBDC spiegata dal punto di vista tecnologico
Da un punto di vista prettamente tecnologico, per CBDC si intende un database gestito e controllato dal governo, che può però appoggiarsi ad aziende private per farlo. Un database che è però del tipo permissioned, una caratteristica che suona sinistra agli occhi di quella parte di opinione pubblica che teme il ferreo controllo da parte di organismi statali o sovrastatali.
Stando almeno ai progetti già avviati, le CBDC dovrebbero girare su una propria blockchain, che potrebbe essere pubblica. Innestando un asset permissioned sopra un livello di base permissionless, ovvero open source, sarebbe possibile conseguire i vantaggi derivanti dalle due tecnologie. Il primo garantirebbe il controllo alle banche centrali, il secondo permetterebbe a chi è in grado di farlo di promuovere lo sviluppo tecnologico del progetto.
Per quanto riguarda tutto il resto, sarà possibile capire meglio con il trascorrere del tempo e il debutto delle varie CBDC. Ogni paese, infatti, potrebbe dare vita alla sua versione, privilegiando alcuni aspetti e tralasciandone altri.
Le paure dei detrattori
Le CBDC sembrano in grado di affrettare decisamente l’adozione di massa delle criptovalute. Potrebbero quindi rivelarsi lo strumento ideale per conseguire l’inclusione prefigurata da BTC e la realizzazione dell’agognata democratizzazione del sistema economico.
A fronte di questo dato di fatto, si prospetta però un controllo ferreo da parte di una istituzione centrale, tale da far saltare la decentralizzazione. Una dinamica che, del resto, si è già vista con i monopoli che si sono instaurati nei progetti fondati sul meccanismo di consenso Proof-of-Work, praticamente controllati da pochi attori.
Le realizzazioni permissioned, si tratti di blockchain o meno, presuppongono la concessione del permesso ai loro partecipanti. Una autorizzazione che può anche essere revocata, per un motivo o per l’altro. Secondo i detrattori delle CBDC, tutti ferventi evangelisti di Bitcoin e crypto tradizionali, può quindi tornare dalla finestra quell’esclusione che Satoshi Nakamoto faceva uscire dalla porta, con il suo white paper.
L’entità centralizzata che controlla il database, infatti, è dotato di alcune prerogative, a partire da quella di decidere chi può condurre le transazioni e chi no. E, ancora, dare luogo a vere e proprie blacklist o congelare i fondi relativi ad un conto.
In un’ottica distopica, coloro che non vanno a genio all’autorità centrale, per motivi di vario genere, possono quindi ritrovarsi di nuovo esclusi dal sistema finanziario ed economico. Su questa ipotesi si stanno già esercitando in molti e non sembrano avere tutti i torti. Si tratta di dubbi che dovranno essere spazzati via dagli Stati interessati ad una CBDC, se vorranno favorirne la diffusione.