Trentaquattro anni, amante dello sport e della ricerca: chi è Alberto Franzoi, lo scialpinista morto dopo essere stato travolto da una valanga durante un’escursione sulla neve in Alto Adige. I fatti risalgono a ieri, 16 dicembre. L’uomo, padre di due bambini, si trovava insieme al fratello Marco, riuscito a salvarsi.
Chi è Alberto Franzoi, il ricercatore ucciso da una valanga in Alto Adige
Alberto Franzoi aveva 34 anni ed era originario di Rovereto. Insieme alla compagna e ai due figli di 3 e 5 anni viveva a Roncafort, in provincia di Trento, dove lavorava come tecnico dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, nel settore delle microtecnologie.
Nel tempo libero amava praticare diversi sport: dall’arrampicata alla mountain bike, passando per lo scialpinismo. Portando avanti una di queste passioni ieri, 16 dicembre, si è spento davanti agli occhi del fratello Marco, di 36 anni.
Erano usciti per un’escursione sulla neve in Alto Adige quando, a circa 3.000 metri di altitudine, una valanga li aveva travolti. Il più grande, riuscito a salvarsi, aveva dato l’allarme: all’arrivo dei soccorsi Alberto versava già in gravi condizioni, così era stato trasportato d’urgenza in ospedale.
Nonostante il tentativo dei medici di salvarlo, non ce l’aveva fatta, lasciando esterrefatta la comunità locale, che si è stretta intorno alla sua famiglia.
Per tutti noi è una grande tragedia: appena abbiamo saputo abbiamo avvertito i vari componenti della giunta e i lavoratori e dico a nome di tutti che siamo vicini alla famiglia di Alberto e partecipiamo al lutto. Mancherà tantissimo anche a tutti noi, gli volevamo tutti bene,
ha fatto sapere, parlando a nome di tutti i colleghi, il direttore dell’Istituto in cui lavorava, Francesco Pederiva. Ma sui social sono in tantissimi a ricordarlo, per le sue passioni e per il suo lavoro. “Nella sua attività era un pilastro”, dicono alcuni.
Altri citano la sua capacità di superare anche problemi all’apparenza insormontabili, sempre con il sorriso. Molti invece rivolgono un pensiero ai suoi bambini e alla loro mamma, che dovranno fare i conti con la sua prematura scomparsa più di chiunque altro. Come il fratello Marco, che era con lui negli attimi della tragedia.
Si allunga la scia delle vittime della montagna
Appena una settimana fa due alpinisti di nazionalità italiana avevano perso la vita nel corso di un’escursione in montagna in Svizzera. Si chiamavano Fabio Di Marco e Luca Laurin e insieme a una terza persona, un 32enne, erano stati travolti da una slavina mentre erano impegnati nella discesa dalla vetta del Piz Grevasalvas, nel Cantone dei Grigioni.
A differenza del più giovane, riuscito a salvarsi, i primi due erano rimasti intrappolati nella neve, morendo poco dopo. Laurin era socio del Cai Lissone, in provincia di Monza e della Brianza, dove viveva; Di Marco lavorava invece come istruttore di scialpinismo ed era socio del Cai di Asso, in provincia di Como.
Nel ricordarli il presidente generale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani, aveva invitato tutti alla massima prudenza, “ricordando che l’ambiente innevato è quello più imprevedibile” e che, in quanto tale, non va mai sottovalutato. Con la morte di Alberto Franzoi la scia di sangue sulle montagne non ha fatto invece che allungarsi.
All’inizio del mese a Belluno era scomparso, sempre nel corso di un’escursione, lo scialpinista di 66 anni Giuseppe Furlan. Stando a quanto ricostruito in seguito, si trovava sotto la cima Loschiesoi, nella zona di Passo Giau, insieme a un amico, quando entrambi erano stati travolti da una valanga. Furlan era stato trascinato per un centinaio di metri nella neve, venendo sommerso.
Dopo averlo individuato, l’amico era riuscito ad estrarlo, tentanto di rianimarlo. Intanto si era messo in contatto con i soccorsi. Quando erano arrivati – in ritardo, a causa delle avverse condizioni meteo – per il 66enne non c’era però già più niente da fare. A valle era arrivata solo la sua salma.