L’edizione 2023 di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, non è stato solo un momento di incontri fra politici, imprenditori e giornalisti per discutere dell'”orgoglio di essere italiani” e di come sta lavorando il governo di Giorgia Meloni.

C’è stato anche un momento dedicato alle proteste in Iran legate alla morte di Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale perché indossava male il velo. Giuliomaria Terzi di Sant’Agata (Senatore FdI) ed Angelo Rossi (Deputato FdI) hanno consegnato un premio a Shiva Amini, ex calciatrice della nazionale iraniana che vive dal 2018 a Genova senza più poter vedere la propria famiglia o giocare con la maglia del Team Melli.

La sua colpa? Mentre si trovava a Zurigo nel 2018, Amini aveva postato sui social una foto di lei che giocava a calcio senza velo ed in pantaloncini. A margine della premiazione l’ex calciatrice (oggi allenatrice di giovani calciatori) afferma: “Le donne iraniane stanno sacrificando la propria vita“.

Atreju 2023, Shiva Amini parla delle proteste in Iran: “Le donne iraniane non sono libere di decidere da sole”

Anche se gli ultimi sconvolgimenti politici, come la guerra in Ucraina o quella a Gaza, hanno messo in secondo piano la repressione contro le donne che quotidianamente avviene in Iran, la storia di Shiva Amini ricorda a tante persone che esistono molti paesi nel mondo dove le donne non possono decidere autonomamente della propria vita.

Anche se le proteste sono di molto scemate (e ci sono condanne a morte per alcuni attivisti), la premiazione di oggi serve a ricordare ciò che è successo con Mahsa Amini. Nell’ottobre 2023 il Premio Sacharov è stato dedicato alla sua memoria e a quella delle donne iraniane che sono scese in piazza a protestare contro il regime teocratico.

Per cosa protestano queste donne? Shiva Amini a Tag24 lo spiega così:

Desiderano avere una vita normale, stanno combattendo per tre parole (Donna, vita e libertà, NDR) contro cui il regime si oppone da 44 anni. Continuiamo a combattere per la libertà dell’Iran e speriamo bene.

Anche lo sport può avere un ruolo in questo, considerando che Amini faceva parte della nazionale femminile iraniana e che attualmente lavora in una scuola calcio a Genova:

Giocavo a calcio in Iran, però non ero una persona libera, non potevo neanche scegliere il proprio vestito, dovevo giocare col velo. Da subito ho cominciato a combattere contro le regole anti-donne che il regime iraniano usa da sempre per opprimere l’Iran. Non sono solo i vestiti, non è solo l’hijab il problema: il problema è che le donne in Iran non possono fare niente, non possono neanche ballare, cantare, andare in bicicletta. Io essendo una calciatrice non potevo entrare nello stadio a vedere una partita: tutti, sportivi, atleti e persone normali, stiamo combattendo per avere una vita normale.

Un pizzico di delusione sembra affiorare sul volto di Amini quando le viene chiesto come sta andando la carriera da allenatrice. Lei preferirebbe continuare a calciare il pallone sul campo come calciatrice, ma si è calata con soddisfazione nel mondo degli allenatori che insegnano non solo a stare in campo ma anche come ci si comporta nella vita quotidiana:

Giocare a calcio è tutta la mia vita, da allenatrice mi fa piacere perché entro comunque nel campo e vedo i bambini, le ragazze, i ragazzi ai quali devo insegnare non solo il calcio, ma anche le regole della vita… A me piace, sto portando avanti questa mia carriera.

Chi è Shiva Amini, la sua carriera da calciatrice e perché non può più tornare in Iran

Shiva Amini è nata in Iran nel 1989 e vive in Italia, a Genova, dal 2018. Il suo trasferimento non è stato legato ad una scelta volontaria, quanto purtroppo da un evento esterno: le minacce che le autorità iraniane, più precisamente la polizia morale, avevano cominciato a scrivere contro di lei e la sua famiglia.

All’origine di ciò un episodio del 2018: Amini si trovava a Zurigo per un viaggio di svago, non legato alla sua attività di calciatrice con la maglia della nazionale iraniana. Sui suoi profili social la ragazza aveva pubblicato alcune foto in cui giocava senza velo ed in pantaloncini: un qualcosa di assolutamente inconcepibile per le autorità politiche e religiose in Iran.

Amini fu accusata di “aver giocato con il nemico” e dal 2018 le è proibito ritornare in Iran. Questa situazione non le permette di incontrare i suoi genitori, rimasti in Iran sotto stretta sorveglianza, e nemmeno di lavorare nel mondo del calcio come desidererebbe: Amini non può ottenere la cittadinanza italiana perché l’Iran non fornisce i documenti necessari.

In Italia l’ex calciatrice della nazionale italiana ha studiato per ottenere il patentino di allenatore, che le permette di allenare delle formazioni giovanili locali.

L’appoggio di Amini alle proteste seguite all’uccisione di Mahsa Amini (colpevole secondo la polizia morale iraniana di aver indossato male il velo) le sono costate carriera, amicizie ed i rapporti con la famiglia: ecco perché lei continua a parlare dell’argomento, affinché in Iran non sia più un crimine parlare liberamente della propria condizione e dell’essere una donna indipendente.