Ha preso il via nel tardo pomeriggio di ieri il processo a carico di Gianluca Paul Seung, il 35enne accusato dell’omicidio della psichiatra Barbara Capovani, consumatosi fuori dal Santa Chiara di Pisa il 21 aprile scorso. L’imputato era assente in aula. Presenti, invece, i familiari della vittima, che saranno parte civile insieme all’Ordine dei medici, la Regione e l’Asl Toscana Nord Ovest, per la quale la professionista lavorava.
Al via il processo a Gianluca Paul Seung, accusato dell’omicidio di Barbara Capovani
Nei confronti di Seung la Procura aveva chiesto e ottenuto il giudizio immediato. Il processo a suo carico si è aperto ieri, 13 dicembre, ma il 35enne, assente, avrebbe già fatto sapere di rifiutarlo. Attraverso i legali che lo difendono, gli avvocati Andrea Parrini e Alessia Ratti, ha infatti presentato alla Corte una memoria di 18 pagine in cui sostanzialmente chiederebbe di rinviare il dibattimento.
A riportarlo è La Nazione, secondo cui i suoi legali avrebbero anche chiesto un’integrazione della perizia psichiatrica (decisione su cui i giudici si sono riservati di decidere). In aula erano presenti i familiari di Barbara Capovani che, assistiti dall’avvocato Stefano Del Corso, saranno parte civile insieme all’Ordine dei medici, la Regione e l’Asl Toscana Nord Ovest. Il loro obiettivo è fare in modo che la vittima ottenga la giustizia che merita.
La ricostruzione dei fatti
Nel corso del processo a carico di Gianluca Paul Seung verranno ascoltati diversi testimoni. Il fine è quello di ricostruire i movimenti che l’uomo fece il 21 aprile, giorno dell’omicidio. Stando a quanto ricostruito finora, il 35enne raggiunse con il treno l’ospedale Santa Chiara di Pisa e, dopo averla aspettata, aggredì Capovani di spalle, con un’arma da taglio mai ritrovata, per poi cambiarsi e tornare a casa.
Sembra che il giorno precedente si fosse già recato nella struttura, chiedendo informazioni sulla psichiatra, che però era assente. Per questo gli è stata contestata l’aggravante della premeditazione. È probabile che l’uomo avesse preso di mira la professionista per via di alcune visite a cui lui stesso, poco tempo prima, era stato obbligato a sottoporsi.
La dottoressa gli aveva diagnosticato un “disturbo narcisistico, antisociale e paranoico della personalità“. Ad incastrarlo, i filmati di alcune videocamere di sorveglianza installate nei pressi della scena del crimine.
Ma anche il ritrovamento di un portadocumenti contenente tracce di Dna della psichiatra e delle scarpe rosse indossate al momento del delitto e poi abbandonate in un cassonetto per il riciclo degli indumenti usati, anch’esse macchiate di sangue.
Nelle scorse settimane, nonostante i suoi problemi di natura psichica, l’uomo è stato giudicato capace di intendere e di volere e di stare a processo. I suoi avvocati ieri hanno fatto sapere che sarà presente quando arriverà il momento del suo esame.
Le altre aggressioni a professionisti
Sono sempre più frequenti le aggressioni ai professionisti del mondo della salute. Di recente anche l’immunologo Francesco Le Foche ne aveva subita una, venendo picchiato da un ex paziente che in sostanza lo accusava di avergli prescritto la terapia sbagliata.
Lo scorso ottobre un altro medico era stato preso di mira da un uomo, per avergli negato una ricetta. È successo a Firenze. L’Ordine dei medici locale, nel riferire l’accaduto, aveva ricordato proprio l’omicidio di Barbara Capovani, chiedendosi per quanto tempo, ancora, si potesse andare avanti per questa strada.
La questione è quella della scarsa sicurezza dei medici e degli infermieri che, in virtù del delicato lavoro che svolgono, soprattutto nelle aree di psichiatrica e pronto soccorso, sono molto esposti ad episodi di violenza non solo fisica, ma anche verbale.