La Corte d’Assise d’Appello di Torino ha condannato a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di carcere Alex Pompa, il 21enne di Collegno accusato di aver ucciso a coltellate il padre per difendere la madre e il fratello maggiore. Sul suo caso era stata chiamata a pronunciarsi anche la Corte costituzionale.

Uccise il padre violento a Torino: condannato Alex Pompa

I fatti risalgono al 30 aprile del 2020. Alex Pompa, che ha da poco cambiato cognome in “Cotoia”, rinunciando a quello del padre, uccise Giuseppe Pompa con 34 coltellate (e sei diversi coltelli) per difendere la madre Maria e il fratello maggiore, Loris.

Sembra infatti che l’uomo, da sempre possessivo, avesse seguito la moglie al lavoro – un supermercato – e l’avesse poi aspettata a casa per aggredirla verbalmente, rimproverandole di essersi fatta poggiare la mano su una spalla da un collega. Il tutto dopo averla chiamata per ben 101 volte al telefono.

Il giovane temeva un suo gesto violento. Agli inquirenti riferì, infatti, di aver agito “per legittima difesa“, sostenendo che se non si fosse scagliato contro il padre, lui probabilmente avrebbe messo in pericolo l’intera famiglia. I giudici di primo grado gli dettero ragione, assolvendolo con formula piena.

Poi però in Appello la sentenza fu ribaltata e il 20enne venne riconosciuto colpevole di omicidio volontario. Si convenne però che 14 anni di carcere fossero troppi. La pena a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni è arrivata solo oggi, 13 dicembre. Sul caso, infatti, ha dovuto pronunciarsi prima la Corte costituzionale.

Il parere della Corte costituzionale

I giudici di secondo grado avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale – inviando gli atti del processo alla Consulta – sull’ultimo comma dell’articolo 577 del Codice penale, introdotto nel 2019 dal cosiddetto “Codice rosso”, che prevede, per i casi di omicidio aggravati dal vincolo affettivo, il divieto di riconoscere le circostanze attenuanti, tra cui, nel caso di Pompa, quella della provocazione, prevalenti.

La decisione era arrivata lo scorso 31 ottobre. Con la sentenza numero 197, la Corte costituzionale aveva stabilito che sarebbe stato il giudice a decidere, di volta in volta, se prevedere uno sconto di pena, riconoscendo le attenuanti generiche del caso, oppure no. Il legale di Alex Pompa, l’avvocato Claudio Streta, aveva quindi anticipato che il giovane sarebbe stato condannato, con tutta probabilità, a una pena di poco superiore ai 6 anni, come in effetti è stato.

La reazione dei familiari

La mamma e il fratello di Alex Pompa hanno sempre difeso il giovane, sostenendo che senza il suo intervento sarebbero stati uccisi. Secondo loro, quindi, il 21enne andava assolto. Le loro testimonianze, per volere dei giudici, dovranno ora essere verificate dalla Procura, a cui sono stati trasmessi tutti gli atti del processo.

Siamo passati da un’assoluzione in primo grado a una condanna con richiesta di trasmissione degli atti per valutare le dichiarazioni della madre e del fratello. È una scelta incomprensibile, leggeremo le motivazioni,

ha dichiarato l’avvocato Streta, facendo riferimento al lungo iter giudiziario che ha caratterizzato la vicenda. A riportare le sue parole è La Stampa. In questi anni il legale ha sempre cercato di mettere in evidenza il clima di terrore in cui il suo assistito – insieme al fratello e alla madre – avrebbe vissuto per anni, a causa dei comportamenti violenti del padre.

Proprio a causa di quel clima, infatti, il giovane si sarebbe macchiato dell’omicidio, ritrovandosi a dover scegliere tra la sua vita e quella dell’uomo. Nel frattempo il 21enne ha provato a ricostruirsi una vita: dopo essersi diplomato si è iscritto alla facoltà di Scienze della Comunicazione, laureandosi a fine ottobre. Ora – dopo i domiciliari – si aprirà, per lui, la (breve) parentesi del carcere.