Cos’è la febbre mucolosa delle Montagne Rocciose? Si tratta di una malattia batterica trasmessa dal morso di alcune zecche infette.

Al momento sono stati registrati 5 casi di persone ammalate di cui 3 deceduti tutti negli Stati Uniti.

I casi riscontrati fino ad ora riguardavano persone che si erano recate a Tecate, nella Bassa California circa due settimane prima dell’insorgenza dei sintomi. Quattro di queste avevano meno di 18 anni e tre di loro erano residenti negli Stati Uniti e due in Messico.

In Italia per fortuna questa patologia non sembra aver mai fatto registrare un numero significativo di casi. Anche se è sempre bene, in casi come questi, non abbassare la guardia. Si tratta infatti di una malattia pericolosa che nei casi più gravi può anche risultare fatale.

Cos’è la febbre mucolosa delle Montagne Rocciose: le cause

La febbre mucolosa delle Montagne Rocciose è una patologia grave e rapidamente progressiva che, spesso, può essere mortale.

La puntura di zecche infette rappresenta la principale via di trasmissione di questa malattia che è tipicamente diffusa in tutti gli Stati Uniti in America centrale e meridionale e risulta endemica nel Messico settentrionale oltre che in alcune parti degli Usa sudoccidentali, dove può essere trasmesso dalle zecche marroni dei cani.

In Italia, almeno per ora questo tipo di febbre non sembra destare particolare preoccupazione né sembra aver mai fatto registrare un numero significativo di casi. 

Secondo la Columbia University, tuttavia, alcune segnalazioni sono arrivate anche dall’Europa oltreché da alcune zone dell’Asia e dell’Australia.

I sintomi

Una volta contratta, i sintomi della febbre delle Montagne Rocciose sono soprattutto febbre e mal di testa. Tavolta però si possono riscontrare altri segnali come:

  • Nausea
  • Vomito
  • Mal di stomaco
  • Dolore muscolare
  • Mancanza di appetito
  • Gonfiore intorno agli occhi e sul dorso delle mani.
  • Eruzione cutanea 

Quest’ultimo sintomo merita una particolare attenzione perché insorge praticamente in tutti i casi e di solito si sviluppa circa 2/4 giorni dopo l’inizio della febbre. Tendendo poi a cambiare aspetto nel corso della malattia, dato che passa da macchie rosse a leggeri punti.

Se non curata in tempo, la febbre maculosa delle Montagne Rocciose può rapidamente progredire e anche degenerare fino a diventare una minaccia per la vita del paziente.

In alcuni casi è possibile che certe persone, sebbene guarite presentino comunque dei danni permanenti che possono portare perfino all’amputazione di braccia, gambe, dita delle mani o dei piedi, il tutto causato da danni ai vasi sanguigni.

In alcuni giorni è possibile anche sviluppare cambiamenti dello stato mentale che si può presentare con coma o gonfiore del cervello.

L’incidenza mortale di questa malattia è del 5% o 10% dei casi con la metà di questi decessi che si verificano tendenzialmente entro otto giorni dall’inizio della malattia.

Diagnosi e cura

La diagnosi della malattia si basa su una visita completa al quadro clinico, al pregresso del morso di zecche o alla presenza di pulci/pidocchi e infine alla permanenza in aree endemiche.

La conferma della diagnosi avviene grazie ad alcune indagini sierologiche. Infatti dopo un prelievo ematico, vengono ricercati nel siero del paziente gli anticorpi prodotti che possono essere di due tipologie:

  • Anticorpi specifici: ricercati con tecniche di immunofluorescenza indiretta. Si tratta del test più affidabile e quello che viene più comunemente eseguito.
  • Anticorpi aspecifici: viene in questo caso sfruttata una reazione di agglutinazione detta di Weil-Felix. Questo test è ormai poco utilizzato e attualmente ha solo un ruolo di rilevanza storica.

La terapia da seguire è comune per tutti i tipi di febbre mucolosa e si avvale dell’utilizzo di antibiotici appartenenti alla classe delle tetracicline, come la doxiciclina. Un trattamento tempestivo permette una prognosi migliore, ossia un abbattimento del rischio di complicazioni.

Questa patologia può anche essere prevenuta effettuando adeguati trattamenti antiparassitari sugli animali, in particolare su quelli domestici. Oppure utilizzando tecniche di profilassi del contagio come l’isolamento e la disinfestazione ambientale.