L’ordinanza anti-moschee voluta dalla sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint, continua a riecheggiare nel dibattito politico nazionale, ben oltre i confini della Venezia Giulia.

Due settimane fa, infatti, la prima cittadina ha emanato un’ordinanza per notificare la chiusura di due centri islamici utilizzati dalla comunità straniera locale come luoghi di incontro e, soprattutto, di preghiera.

La decisione, nonostante le addotte ragioni di carattere amministrativo, ha scatenato immediatamente una forte polemica nei confronti della sindaca Cisint, già nota alle cronache nazionali per le sue posizioni poco concilianti – da molti definiti come islamofobiche – nei confronti della religione musulmana.

Dello scontro in corso tra l’amministrazione comunale guidata da Cisint e le comunità islamiche di Monfalcone, città dalla caratteristiche sociali, economiche e demografiche uniche in Italia, la redazione di TAG24 ha parlato con Lucia Giurissa, capogruppo Pd nel consiglio comunale della città.

Ordinanza anti-moschee a Monfalcone, la scelta della sindaca Cisint in uno dei Comuni più multietnici di Italia

Consigliera Giurissa, ci descrive innanzitutto la realtà di Monfalcone?

«Monfalcone vive una realtà sociale ed economica molto particolare, anche dal punto di vista etnico: basti pensare che nella nostra anagrafe sono presenti ben 84 nazionalità su una popolazione di 30mila abitanti, composta al 30% da stranieri. La comunità più numerosa è quella proveniente dal Bangladesh.

Gli stranieri presenti non hanno la cittadinanza italiana, ma sono tutti migranti economici regolari che rispondono a una domanda che non trova riscontro nel mercato del lavoro italiano.

Questa premessa è necessaria per comprendere la specificità del contesto di Monfalcone, città che dovrebbe essere un modello di futuro e non protagonista di certe polemiche».

Monfalcone, la demografia della città di Fincantieri

La città di Monfalcone non può essere capita, inoltre, senza parlare di Fincantieri.

«Certamente: Fincantieri è una società prevalentemente pubblica (lo Stato ne è azionista al 71%), seppur quotata in Borsa, la cui presenza caratterizza Monfalcone.

Se da un lato i dipendenti amministrativi di Fincantieri sono prevalentemente italiani, con un alto livello di retribuzione e di sicurezza circa la gestione del lavoro, dall’altro lato vi è una parte operaia. Di questi, una parte sono dipendenti diretti di Fincantieri, mentre la maggioranza sono gestiti dal coordinamento degli appalti e dei subappalti che entrano in gioco ogni volta che si attiva una commessa.

Questo tipo di sistema, chiaramente, rende il lavoro degli operai meno stabile. Peraltro, i dati Istat ci indicano come gli stipendi a Monfalcone siano tra i più bassi di tutto il Nord-Est Italia, nonostante la sola città produca quasi la metà del Pil del Friuli-Venezia Giulia».

Monfalcone, in città non solo musulmani ma tutte le confessioni religiose

Come incide la presenza di questi migranti sul volto demografico di Monfalcone?

«Il Friuli-Venezia Giulia vive un inverno demografico diffuso e ha una popolazione autoctona molto anziana. A Monfalcone questa situazione è invertita: la popolazione prevalente va infatti dagli 0 ai 50 anni, proprio grazie alla presenza di queste famiglie di migranti che tendono a fare molti figli.

In definitiva, a Monfalcone c’è una complessità molto grande che non è sicuramente facile da gestire. I problemi ci sono e non possono essere negati. Quello che pensiamo, tuttavia, è che questa città possa divenire un modello da portare all’attenzione, anche perché qui viviamo con un buon livello di tolleranza reciproca tra le varie comunità.

Il problema, tuttavia, è che queste complessità – anche dal punto di vista spirituale – vengono cavalcate dalla destra attraverso i temi della perdita delle radici e, oggi, del pericolo delle radicalizzazioni.

A Monfalcone non esiste però solo cattolicesimo vs islamismo: qui abbiamo tantissimi ortodossi, abbiamo la Chiesa di Cristo, i pentecostali, gli evangelisti e potrei continuare oltre.

Una grande varietà, insomma, che non è però riflessa dal Piano regolatore della città, il quale ha oltre vent’anni e prevede solo i luoghi di culto cattolici.».

Monfalcone, dopo l’ordinanza anti-burkini la sindaca Cisint decide la chiusura di due moschee

Arriviamo, quindi, alle ragioni di carattere amministrativo che hanno determinato l’ordinanza con cui la sindaca Cisint ha ordinato la chiusura dei due centri islamici?

«Esatto. Essendo il Piano regolatore della città datato, tutte le confessioni religiose hanno qui trovato i loro luoghi di culto in spazi che magari avevano destinazioni d’uso diverse.

Prima di passare a discutere di questa scelta, tuttavia, voglio ricordare come già quest’estate la sindaca Cisint abbia creato un gran clamore mediatico con l’annuncio di un’altra ordinanza che vietava il burkini a Marina Julia.

Peccato che, oltre l’annuncio, non ci sia stato nessun atto concreto, dato che tutti i consulenti legali del Comune hanno spiegato alla sindaca come questo suo tentativo fosse assolutamente incostituzionale.

In definitiva, solo tanto clamore per distrarre e, probabilmente, per compattare la maggioranza comunale dopo la bocciatura della proposta di legge della Cisint sui ricongiungimenti familiari, portata al Senato proprio dalla sua maggioranza di Governo».

Ordinanza anti-moschee a Monfalcone, Giurissa (Pd): “La sindaca Cisint cavalca i problemi per ottenere consenso”

L’ordinanza contro i centri culturali islamici è andata invece a buon fine.

«Dallo scorso luglio la sindaca ha iniziato a mandare delle pattuglie di vigili urbani nei centri culturali islamici poi oggetto dell’ordinanza, così da poter dimostrare che l’attività prevalente di questi luoghi era il culto. La cosa paradossale è che in questi centri le preghiere vengono fatte da oltre vent’anni, ma la sindaca se ne accorge solo adesso.

Il problema è tutta la propaganda che la Cisint porta avanti, andando a dire in giro per l’Italia che Monfalcone è un covo di integralisti islamici che vogliono sostituirci etnicamente.

Anziché farsi carico delle complessità che ci sono, la sindaca preferisce cavalcare i problemi per avere più consenso. Basti pensare che la regione Friuli-Venezia Giulia ha messo a bilancio dei fondi per promuovere progetti che rispondano a bisogni specifici sulla questione migratoria. Il nostro Comune, tuttavia, non solo non ha vinto neanche un bando, ma non ha neanche partecipato.

Quando parla di estremismi, poi, la sindaca Cisint dovrebbe guardare più vicino a sé. Alle elezioni, infatti, ha messo in una delle sue liste un noto esponente della comunità del Bangladesh, Sarkar Jahangir – oggi eletto – il quale è stato indagato per aver minacciato gli elettori della sua comunità per costringerli a votare, come testimoniato da un video.

Come se non bastasse, poi, questa persona si è espressa sui suoi social personali, dopo l’attentato a Israele del 7 ottobre, inneggiando ad Hamas. Sarkar ora è stato estromesso dalla maggioranza, ma di fatto vota compattamente con loro».

Giurissa (Pd): “A Monfalcone esistono problemi che non si risolvoeranno criminalizzando le culture straniere”

Che aria si respira nella comunità islamica che si è vista privare dei luoghi di culto?

«La preghiera collettiva è un momento molto importante per la vita di queste comunità. Non so come faremo a rasserenare gli animi, spero che la sindaca ritiri l’ordinanza. Non credo tuttavia che lo farà, almeno fino a quando non avrà certezza di essere candidata alle europee».

Nel video di replica alla stampa – in particolare a la Repubblica – la sindaca Cisint ha parlato di 5/6 casi di spose bambine a Monfalcone. È vero?

«C’è uno studio bellissimo fatto dall’Irsses questa primavera, dal nome “Voci di donna”, che evidenzia tutto quello di cui avrebbe bisogno la popolazione femminile straniera in questa città così complessa.

I problemi chiaramente ci sono, anche dal punto di vista dei diritti. Per questo dobbiamo lavorare sull’emancipazione delle donne e non criminalizzare le culture di appartenenza.

Non nego che esistano casi come questi, ma voglio anche raccontare di come da qualche anno le donne del Bangladesh abbiano iniziato a trovare il coraggio di denunciare i mariti, trovando accoglienza nelle case anti violenza.

Per quanto riguarda il velo, sicuramente il problema della riconoscibilità delle bambine è una questione seria. Guardando i dati, tuttavia, vediamo come siano pochissime le bambine che, dopo il menarca, si presentano a scuola tutte vestite di nero. A queste giovani dobbiamo dare però sostegno, non ulteriore ghettizzazione».

Giurissa (Pd): “Dai preti del territorio un grande gesto di distensione”

Come hanno vissuto le altre confessioni religiose questa ordinanza?

«I preti che sono sul territorio hanno fatto un’azione coraggiosissima, consegnando ai fedeli una lettera in cui si chiedeva di stare calmi e di considerare la libertà di culto come un valore aggiunto. Questi sacerdoti, poi, hanno voluto sottolineare come il problema non sia tanto l’islamizzazione, ma la scristianizzazione crescente della società».