Narges Mohammadi non ha potuto esser presente alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace a Oslo. Ma la sua presenza si è fatta comunque sentire, forte e chiara, grazie ai suoi figli, incaricati di ritirare il premio al suo posto.
Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, a Oslo una sedia vuota contro il regime iraniano
Una sedia vuota che diventa simbolo di una protesta e di una lotta contro un regime oppressore.
È accaduto a Oslo, durante la consegna del Premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi. Ma l’attivista iraniana non era presente, imprigionata nel carcere di Evin a Teheran per la sua lotta per i diritti delle donne, contro l’hijab e la pena di morte. Al suo posto, appunto, una sedia vuota tra i suoi due figli, i gemelli di 17 anni, Ali e Kiana, costretti all’esilio in Francia dal 2015.
Un posto vuoto che pesa sulla cattiva coscienza di un regime che la tiene prigioniera, denunciato dalla sua famiglia fin dal giorno dell’assegnazione del premio a Mohammadi.
Presente anche il padre e marito dell’attivista, Taghi Rahmani, oltre ad alcuni importanti personaggi della cultura iraniana, giunti a Oslo per affiancare la famiglia dell’attivista nella loro portesta, tra cui la fumettista Marjane Satrapi e l’attrice Golshifteh Farahani.
Il messaggio letto dalla figlia a Oslo: “Credo non rivedrò più mia madre, ma vivrà sempre nel mio cuore”
Mohammadi continua a portare avanti le sue lotte anche dal carcere, con uno sciopero della fame – l’ultimo di una lunga serie – in sostegno della comunità bahai, la più grande minoranza religiosa in Iran, discriminata dal regime.
L’attivista ha, quindi, chiesto proprio ai suoi due figli di ritirare il premio in sua vece, affidando loro le sue parole di accusa verso il giogo in cui la società iraniana è tenuta da parte della Repubblica islamica di Teheran.
“Sono una donna iraniana orgogliosa e onorata di contribuire a questa civiltà, che oggi è vittima dell’oppressione di un regime religioso tirannico e misogino“.
Poi l’appello alla comunità internazionale, affinché faccia sentire la sua voce contro le ingiustizie che avvengono nel suo Paese.
“La società iraniana ha bisogno di un sostegno globale e voi, giornalisti e professionisti dei media, siete i nostri più grandi e importanti alleati nella difficile lotta contro la tirannia distruttiva del governo della Repubblica islamica”.
Infine, le parole dolorose ma, al tempo stesso, risolute e potenti di sua figlia Kiana, che ammette di non sperare di rivedere sua madre in vita.
“Forse la rivedrò tra 30 o 40 anni, ma credo che non la rivedrò più. Ma non importa, perché mia madre vivrà sempre nel mio cuore, così come i suoi valori. Valori per i quali vale la pena lottare“.