Quando si mettono in staking i propri token, si ha un vantaggio ben preciso, quello della remunerazione che ne consegue. Al tempo stesso però si presenta un problema da considerare, l’illiquidità che ne deriva. In pratica il token bloccato non può essere utilizzato nel caso si prospettino altre opportunità da sfruttare.

La soluzione a questo limite è rappresentata dallo staking liquido. In questo caso, lo staker può accedere alle ricompense previste depositando i propri token per partecipare ai meccanismi tesi a mettere in sicurezza la blockchain di riferimento, senza precludersi altre occasioni. Contrariamente a quello tradizionale, infatti, questa forma di staking consente di disporre liberamente del proprio tesoro virtuale, senza dover uscire dal programma e rinunciare alle ulteriori ricompense previste.

Staking liquido: di cosa si tratta e vantaggi

Per staking liquido si intende il deposito di token presso i fornitori di questo genere di servizio che, a loro volta, li concederanno a coloro che intendono rivestire la funzione di validatori all’interno di un meccanismo di consenso Proof-of-Stake.

La differenza più rilevante nei confronti dello staking tradizionale è rappresentato dal fatto che in questo caso la valuta virtuale non è vincolata. Nel caso si reputi opportuno provare a intercettare occasioni di trading è possibile utilizzarla senza perdere il diritto a ricevere ricompense.

Il vantaggio, però, è anche per il settore crypto nel suo complesso. Coloro che partecipano infatti, hanno la possibilità di allocare il proprio capitale digitale aumentandone la liquidità. Un contributo che sta rivelandosi sempre più decisivo per la crescita dell’ecosistema.

Quali sono le valute che permettono lo staking liquido?

Il caso più eclatante di staking liquido è rappresentato dall’Ethereum post Merge. Com’è noto, infatti, la blockchain di Vitalik Buterin è da poco transitata dal meccanismo di consenso Proof-of-Work al Proof-of-Stake. Per poter sbloccare gli ETH in staking, però, è stato necessario attendere l’aggiornamento Shangai, andato in porto nel passato mese di aprile. Al tempo stesso, comunque, è rimasto un altro problema, quello collegato al minimo di 32 ETH necessari per partecipare al suo programma di staking. Una vera e propria soglia di accesso che impedirebbe a molti di prendervi parte. Per ovviare è possibile fare staking liquido, apportando i propri ETH ad un fornitore di servizi e ritagliandosi in tal modo una rendita passiva.

Altro caso interessante di staking liquido è poi rappresentato da Polkadot. Nel suo caso, infatti, è possibile mettere in deposito DOT e partecipare ai processi di governo della rete, potendo al contempo accedere liberamente ai token in staking per poterli utilizzare in altre operazioni.

Altre soluzioni di liquid staking sono poi offerte da Avalanche, Cardano e Cosmos. Prima di partecipare, però, occorre anche cercare di capire i rischi che possono conseguirne.

Quali sono i rischi dello staking liquido?

Tra le maggiori insidie collegate a questa innovativa soluzione di staking, la prima da rimarcare è il cosiddetto slashing. Per tale si intende la possibilità che partecipando allo staking liquido si venga sanzionati dai meccanismi esistenti sulla blockchain su cui viene condotto quello tradizionale. In alcuni casi è previsto il bando dalla rete e la confisca di una parte dei token depositati.

Il secondo è poi rappresentato dal livello di centralizzazione che si può formare a seguito della formazione di veri e propri cartelli. Un esempio in tal senso è rappresentato da Lido, la soluzione di staking su Ethereum al momento predominante. Rappresenta infatti circa un terzo dei validatori e può assumere una posizione di forza all’interno del protocollo, a danno delle posizioni minoritarie.

Infine, la possibilità che tale rendita di posizione sia sfruttata per condurre veri e propri attacchi agli organismi che regolano i processi decisionali. Prima di aderire ad un programma di staking liquido, quindi, sarebbe il caso di conoscerlo meglio in modo da ravvisarne vantaggi e criticità.