Quando fu uccisa dalle figlie Silvia e Paola Zani e dal genero, Mirto Milani, Laura Ziliani, ex vigilessa, aveva 55 anni e viveva a Brescia insieme alla figlia mezzana, Lucia, affetta da un disturbo cognitivo: ecco la sua storia e la storia del suo omicidio, che ha portato in carcere, con una condanna all’ergastolo, il cosiddetto “trio criminale”.

La storia di Laura Ziliani, l’ex vigilessa uccisa a Temù dalle figlie e dal genero

L’8 maggio del 2021, il giorno della sua scomparsa, Laura Ziliani era tornata a Temù, in Val Camonica, per festeggiare insieme alle figlie Silvia e Paola Zani la festa della mamma. Era un posto che conosceva bene, perché a lungo ci aveva vissuto con il marito, scomparso nel 2012 dopo essere stato travolto da una valanga in Val d’Avio.

Non poteva sapere che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto, che avrebbe percorso i suoi sentieri. Si scoprirà solo tempo dopo che le figlie, che ne avevano denunciato la sparizione sostenendo che fosse uscita per una passeggiata in montagna e non avesse mai fatto ritorno, in realtà l’avevano uccisa, con un complice, Mirto Milani, amante di entrambe.

Gli inquirenti l’avevano cercata dappertutto, passando al setaccio anche le zone più impervie del territorio, senza trovarla. L’8 agosto, a tre mesi esatti dalla scomparsa, un bambino in gita con i genitori si era imbattuto nel suo corpo, nascosto in un cespuglio lungo l’argine del fiume Oglio, costeggiato dalla pista ciclabile dell’Alta Valle. L’autopsia stabilì che era morta per soffocamento, dopo aver assunto dei farmaci, delle benzodiazepine.

I sospetti di chi indagava sul caso si erano già concentrati, a quel punto, sulle persone che le erano vicine. I loro racconti, infatti, presentavano diverse incongruenze. Poi c’erano le intercettazioni: a pochi giorni dalla scomparsa della madre, Paola e Silvia erano state sentite parlare di quanti soldi avrebbero potuto guadagnare dalla vendita e dall’affitto dei vari appartamenti posseduti dalla madre. Non volendolo, in pratica, avevano fatto capire di avere un movente.

Il movente e le confessioni

Il 24 settembre del 2021 tutti i componenti del “trio criminale” furono arrestati. Per mesi non dissero niente, scegliendo la via del silenzio. Poi, a un certo punto, arrivarono le confessioni: Mirto ammise l’omicidio dell’ex vigilessa al compagno di cella, che rivelò il contenuto della loro conversazione agli inquirenti.

A quel punto anche Silvia e Paola crollarono, sostenendo di aver agito per difendersi dalla madre, che più volte aveva provato ad ucciderle. Prima avrebbero provato ad avvelenarla; poi, il 7 maggio del 2021, l’avrebbero stordita e soffocata con l’aiuto di Mirto, a cui poi avrebbero provato ad addossare l’intera responsabilità dell’accaduto.

La sentenza di condanna all’ergastolo per l’omicidio

Gli esperti che li hanno visitati in carcere hanno giudicato tutti e tre “totalmente capaci di intendere e di volere“: significa che quando, di comune accordo, uccisero la donna (avendo premeditato di farlo), erano lucidi. Lo fecero per motivi economici: avrebbero voluto entrare in possesso dell’eredità di Ziliani.

Ieri, 7 dicembre, i giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Brescia, accogliendo la richiesta del pm Cary Bressanelli, hanno condannato tutti e tre all’ergastolo, disponendo nei confronti di ciascuno sei mesi di isolamento diurno. Erano accusati di omicidio volontario aggravato, tentato omicidio e occultamento di cadavere.

La terza figlia di Laura, assistita dall’avvocato Piergiorgio Vittorini, riceverà come risarcimento, in sede civile, una somma di 200mila euro. La madre, Marisa Cinelli, 100mila euro. 50mila euro invece è la somma fissata in favore di Massimo e Michele Ziliani, i fratelli della vittima, tutti costituitisi parte civile al processo di primo grado.