Si torna a parlare in questi giorni del famoso Patto di stabilità e crescita, ma che cos’è per la precisione? Ve lo spieghiamo subito. Iniziamo con l’anticiparvi che si tratta di un importantissimo accordo internazionale stipulato ormai diversi anni fa dai vari Stati membri dell’Unione europea. Rappresenta uno dei pilastri della politica europea.

Che cos’è il Patto di stabilità e crescita?

Il Patto di stabilità e crescita (detto anche PSC) è un’intesa stipulata e sottoscritta ufficialmente nel 1997 ad Amsterdam. A farne parte sono gli Stati membri dell’Ue. Tale accordo riguarda sostanzialmente il controllo delle politiche di bilancio pubbliche delle varie Nazioni aderenti.

Lo scopo è molto semplice: il Patto serve a mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona). Dunque serve a rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con l’entrata in vigore del trattato di Maastricht.

Quest’ultimo è un documento internazionale che, a sua volta, definisce i pilastri dell’Unione europea, fissa le regole politiche e determina i parametri economici e sociali che ogni Stato deve rispettare per entrare e rimanere dentro l’Unione.

Negli anni alcune regole del PSC sono cambiate. I Paesi si sono adattati ai cambiamenti – soprattutto quelli economici – che ci sono stati dal 1997 ad oggi. Nel 2011, ad esempio, ci sono state variazioni dopo l’introduzione del cosiddetto “semestre europeo”. È altamente probabile poi che, piccoli o grandi cambiamenti, ci saranno anche nei prossimi anni. La base però rimane sempre la stessa.

A cosa serve?

Giunti a questo punto, una è la domanda è che sorge spontanea: a cosa serve esattamente questo Patto? Cioè, dal punto di vista pratico, che cosa succede? Ve lo spieghiamo subito. Abbiamo detto che è, in primo luogo, uno dei pilastri su cui si basa la politica di bilancio dei vari Paesi europei, Italia compresa.

Il Patto di stabilità e crescita, in inglese Stability and Growth Pact, si incentra su due concetti cardine. In primo luogo il deficit pubblico di una Nazione (cioè l’equilibrio tra le entrate e le uscite) non deve mai superare il 3% del Pil di quella stessa Nazione. In secondo luogo il debito pubblico di un Paese non deve andare oltre il 60% del Pil, il Prodotto interno lordo.

Dal momento che però, ad oggi, la maggior parte dei Paesi membri è molto lontana dal secondo parametro, il Patto prevede per gli Stati la possibilità di dimostrare un calo ad un ritmo soddisfacente. Ciò vuol dire che il PSC offre la possibilità di far vedere che il divario tra debito pubblico e Pil deve essere gradualmente ridotto. Si parla di un ventesimo all’anno, calcolato come media di un triennio.

In questo modo l’Unione europea vuole sia evitare di stimolare politiche di bilancio potenzialmente problematiche, sia incitare gli Stati membri verso il miglioramento economico. Inoltre vuole mantenere saldi e fermi gli equilibri interni in modo che le mancanze di un singolo Paese non mettano a rischio l’intera struttura internazionale.

Perché se ne parla oggi?

Proprio oggi se ne torna a parlare in quanto, nella notte appena trascorsa, i lavori della cena pre-Ecofin, Economic and Financial Affairs Council, si sono conclusi senza aver trovato un accordo sulla riforma del Patto di stabilità e crescita. Riforma della quale si sta parlando da mesi e medi.

Fonti diplomatiche hanno riferito di aver bisogno di compiere ulteriori consultazioni legali e politiche prima di decidere. Non è ancora stata trovata una quadra, insomma. I temi caldi sono stati le regole di bilancio e le misure di stabilità finanziaria nell’Unione Europea.

L’arenarsi dell’intesa però indica che i 27 Stati non sono d’accordo. Per ora c’è uno stallo non indifferente. La riforma dunque, ad ora, rimane al palo.