La morte di Richard Benson ha lasciato un grande vuoto nel cuore di tantissimi fan. L’artista si è spento a 67 anni il 9 maggio del 2022 a causa di complicazioni dovute a problemi di natura cardiovascolare. Un personaggio istrionico, eclettico, senza peli sulla lingua e che incarnava dentro di sè molteplici alter-ego tra cui performer, comico, opinionista e critico musicale. La vita è il nemico è un docufilm sulla vita dell’artista scritto dagli sceneggiatori Matteo Bennati e Giulio Calenne ed intitolato La vita è il nemico.
“La vita è il nemico” è un docu-film sulla vita dell’artista che ne ripercorre la storia e la carriera.
Il regista ed ideatore del progetto è il filmmaker Maurizio Scarcella, che ha accompagnato Richard Benson nell’ultimo anno di carriera, 2017/2018. Il documentario vede la partecipazione di grandi nomi del panorama televisivo, artistico e musicale italiano tra cui: Massimo Marino, Armando Petricaroli, Max Giusti John Macaluso, Luca Rea, Francesco Boccia, Piero Chiambretti, Giuseppe Cruciani, Vittorio Sgarbi e Federico Zampaglione, produttore dell’album “l’Inferno dei vivi” e regista dei videclip musicale i “Nani”.
Il documentario o è una produzione indipendente a cura di Sarastro Film (Andrea Pirri Ardizzone, Andrea Scarcella e lo stesso regista) un collettivo di professionisti del settore cinematografico uniti dalla passione per il cinema, come riportato nel loro manifesto ufficiale. Il documentario sarà distribuito da Piano B Distribuzioni, con l’aiuto di Andromeda Film, e nasce come celebrazione della vita di un uomo che ha vissuto libero dal primo al suo ultimo giorno: una vera e propria enciclopedia umana della musica internazionale e per mostrare al pubblico la quotidianità di un artista costellato da numerose leggende.
Il film uscirà l’8 dicembre 2023 e sarà proiettato al Nuovo Cinema Aquila di Roma. Ospiti della serata la moglie di Benson, Ester Esposito e gli attori del cast.
Tag24 ha intervistato il regista di La vita è il nemico, Maurizio Scarcella.
La vita è il nemico: intervista al regista Maurizio Scarcella
D. Come è nata l’idea di un documentario sulla vita di Richard Benson?
R. È nato tutto alla fine del 2016, quando Richard ha lanciato un appello ai suoi fan mediante un video su Repubblica. Per la prima volta, in quel momento così tragico della sua vita, agli occhi di chi non lo conosceva personalmente sembrava essere genuinamente sé stesso. In quel periodo si trovava in una grave crisi economica e ha cercato un modo per risalire, sia per lui che per sua moglie Ester. Ciò che mi ha sempre attirato era quella dualità, unica nel suo genere, che lo contraddistingueva. Da una parte il musicista e critico musicale (Era una vera e propria enciclopedia vivente, pochi ancora oggi hanno le sue conoscenze in materia musicale). E dall’altra quel suo personaggio quasi grottesco e totalmente fuori dal comune. Due facce di una medaglie che inevitabilmente ti condizionavano e affascinavano.
Dopo 4-5 mesi a stretto contatto con la coppia, nel 2017, ho creato un team creativo con gli sceneggiatori Matteo Bennati e Giulio Calenne, che mi hanno dato una mano nel costruire la storia tra il vissuto di Richard e le testimonianze di chi lo ha conosciuto intimamente.
Così facendo si è riusciti a raccontare, in un viaggio l’ungo una vita, i mutamenti profondi di una figura cardine di più di una generazione di ragazzi. Richard è stata una persona che negli anni ’70 e ’80, per la prima volta portava a rivolgere l’attenzione a nuovi generi musicali, artisti e chitarristi di cui nessuno fino a quel momento in Italia conosceva l’esistenza. È stato un pioniere che parlava di figure come Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie Malmsteen, oggi tutte di elite. È stato anche un performer estremo, rocker, che nell’arco del tempo ha visto sempre più abbandonare la musica per inscenare un personaggio destinato a rimanere per sempre nella mente di troppi, come una sorta di meme vivente. E anche li, se uno ci pensa, è stato a suo modo avanguardistico.
D. Richard era pieno di fan e come tutti gli artisti, anche di hater. Come viveva il rapporto con i suoi detrattori?
R. È stato un uomo molto forte e non gli importava degli hater, anche perché in verità lo “odiavano per poterlo amare”. Richard è stato capace di creare un gioco infernale con il proprio pubblico, che se analizzato mostrava una sorta di amore bipolare e conflittuale. Precisamente, non sapevi distinguere amore e odio! Però, con grande abilità, ha saputo farne tesoro di questo aspetto e un esempio sono i suoi spettacoli. Nel mondo odierno c’è una grande mancanza di sensibilità spacciata per black humor, e Richard ha dovuto sopportare offese molto pesanti ai concerti, tra cui cartelli con scritto “Manco il Tevere t’ha voluto” .
Una cosa è scherzare sui suoi tormentoni, un’altra offendere un uomo e la sua vita privata. Richard però è riuscito a governare per lungo tempo tutto questo, a suo vantaggio e prendendosi gioco di chi non lo rispettava realmente. I suoi spettacoli non erano soltanto concerti, ma performance art dove l’artista comunicava realmente con il pubblico e si connetteva in modo autentico con loro, se pur estremo e autolesionistico. Offriva ai giovani una valvola di sfogo, una via di fuga da tutti i giorni, ed incarnava sia l’artista da apprezzare che, appunto, da odiare. Richard si immolava per noi.
Viaggio nel mondo di Richard Benson
D. Quali sono le sfumature di Richard che hai raccontato nel docufilm?
R. Ho cercato di mostrare il più possibile la sua forza e determinazione, tramite quelle scelte che non tutti sarebbero capaci di prendere nella vita. Quello che volevo è che emergesse il più possibile il lato umano e troppo spesso sottovalutato, di un’artista di questo genere. Allontanandolo da una visione stereotipata e semplicistica, che per troppo tempo lo ha visto segregato e alla figura “trash”. Approcciandomi al qui e ora di Richard, in oltre, mi sono reso testimone proprio di quell’amore che i fan hanno provato e provano tutt’ora per lui. Tantissimi ragazzi andavano a casa sua a trovarlo, accoglieva tutti, aveva una grande rete di persone che lo apprezzavano e lo supportavano. Tra cui due ragazzi di nome Marco Palazzi e Marco Deangeli, che gli sono stati molto vicino in quei giorni e sono diventati parte del documentario.
Personalmente è stato bello vedere come negli anni a seguire i suoi fan, hanno iniziato a pubblicare online moltissimo suo materiale, un modo per omaggiarlo e mantenere vivo il ricordo della sua carriera. Dal 2018 al 2022, gruppi come le “Brigate Benson”, o “Falange Benson”, sono stati capaci di mantenere viva la sua immagine arrivando in tempo, per fortuna, dove io ho tardato.
Questo lavoro, se pur frutto dell’esperienza di un tempo ormai passato (7 anni fa) è la celebrazione della vita di un artista unico nel suo genere, che ripercorre la mutazione del personaggio visto negli anni’80 fino alla sua esplosione di massa con la diffusione dei suoi video su YouTube. Terminando inevitabilmente nel 2018, anno in cui si è ritirato a vita privata.
D. Federico Zampaglione dei Tiromancino ed ospite in La vita è il nemico. È stato un grande amico e collaboratore di Richard?
Pochi si ricordano ma si, Zampaglione è colui che ha prodotto l’album di Richard “L’inferno dei vivi”, dove è contenuta la sua traccia tormentone “I nani”. Zampaglione diresse anche il videoclip di quella canzone! Con il suo lavoro, in un modo o nell’altro, ha saputo rendere “commerciale” l’essenza sui generis di Richard, fino ad all’ora poco compresa dal “grande pubblico”. Federico ha avviato questa sua collaborazione con Richard, proprio per via del suo essere un fan e amare il suo personaggio. La sua intervista è una delle più belle, in cui ci spiega come nel vedere Richard in studio di registrazione, si sia trovato difronte ad un artista vero e proprio, non una parodia. In poche parole un professionista che conosceva bene il suo lavoro, al contrario di quello che in molti all’epoca pensavano. Le sue capacità di interpretazione dei brani, come spiegato da Federico, era paragonabile alle doti di figure come Carmelo Bene. Infatti Richard era caratterizzato proprio da questa sua dote, un senso “teatrale” che riempiva in maniera sconvolgente il suo lavoro. Qualcosa che percepivi in tutti i suoi brani, nelle sue trasmissioni televisive e persino nei concerti. Per questo penso che anche fra 1000, se rivisto e ascoltato, sarebbe in grado rapirti con l’imposizione della voce.