Favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e, per alcuni, violazione del codice della navigazione: sono queste le accuse mosse dalla Procura di Ragusa alle persone rimaste coinvolte, a vario titolo, nel caso della Mare Jonio, riguardante il trasbordo – non autorizzato – di 27 migranti in zona Sar maltese. Era il 2020. Secondo l’accusa, la società armatrice della nave, la Idra Social Shipping, avrebbe preso accordi con la nave mercantile Maersk Etienne – a bordo della quale si trovavano i migranti, salvati in mare -, ricevendo 125mila euro in cambio dell’operazione.
Caso Mare Jonio, verso l’udienza preliminare per sette persone a Ragusa
Nel corso dell’udienza preliminare, in programma per il prossimo 14 febbraio presso il Tribunale di Ragusa, il gup Eleonora Schininà dovrà esaminare la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura nei confronti di sette persone.
Si tratta di Pietro Marrone, comandante della nave Mare Jonio, Alessandro Metz, legale rappresentante della società Idra, Giuseppe Caccia, vicepresidente del Cda della Idra e capo spedizione, Luca Casarini, dipendente della stessa società, ma secondo gli inquirenti amministratore di fatto, e tre membri dell’equipaggio.
Un ottavo indagato, Georgios Apostolopoulos, tecnico di bordo, sarà invece processato in sede separata, per un problema relativo alla notifica degli atti. Tutti sono accusati di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e alcuni anche di violazione del codice della navigazione.
Il motivo? Il 10 settembre del 2020 permisero a 27 migranti di sbarcare a Pozzallo, in Sicilia, dopo averli trasbordati sulla Jonio dalla nave mercantile danese Maersk Etienne, che 37 giorni prima li aveva salvati in mare ed era in attesa di assegnazione di un porto sicuro a Malta.
La ricostruzione della vicenda
Il 10 settembre del 2020 la Mare Jonio aveva lasciato il porto di Licata per portare a Lampedusa 80 litri di gasolio. Una volta preso il largo, però, era stata contattata dal comandante della Maersk Etienne che, lamentando uno stato di sofferenza generale e grave dei migranti che aveva salvato, chiedeva supporto per emergenze mediche a bordo.
Dopo aver fatto salire due membri dell’equipaggio non autorizzati, la Jonio si era quindi diretta verso il mercantile, a Malta, dove, una volta controllati i migranti, aveva deciso per il trasbordo di 27 di essi e per l‘evacuazione con una procedura di urgenza medica di altri due, una donna che si diceva incinta e il marito. Così, con i migranti, era tornata in acque italiane: a Pozzallo, tra l’11 e il 12 settembre, era avvenuto lo sbarco.
La tesi dell’accusa e la risposta delle difese
Secondo l’accusa, il trasferimento delle persone a bordo, avvenuto nella zona Sar maltese senza l’autorizzazione delle autorità competenti, sarebbe stato effettuato non per un salvataggio, ma in virtù di un accordo commerciale preventivo siglato tra le società armatrici delle due navi. Un accordo dal valore di ben 125mila euro (ora sotto sequestro), che la Maersk avrebbe versato alla Jonio dopo la fine delle operazioni.
In pratica, stando a quanto ricostruito dalla Procura, quando uscì dal porto di Licata, la mattina del 10 settembre, la Jonio sapeva già dove si sarebbe diretta e avrebbe semplicemente camuffato le sue azioni. All’approdo dei migranti a Pozzallo, l’Usmaf, l’Ufficio di sanità marittima, non aveva infatti riscontrato criticità nelle loro condizioni.
Le indagini si sono chiuse lo scorso marzo e per i sette la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Secondo le difese agirono nell’interesse delle persone a cui avevano prestato soccorso, che più volte, nei giorni precedenti, avevano lamentato il fatto di essere bloccate all’interno della nave, minacciando atti autolesionistici. Parlavamo della vicenda anche in questo articolo: Mare Jonio, Candiani (Lega): “Non facciamoci prendere in giro da gente come Casarini”.