Chi è Gianluca Ciardelli e perché si è tornati a parlarne? Giornalista di professione, l’uomo, originario di Roma, uccise la moglie Lorella Tomei nella casa in cui vivevano, nel quartiere Balduina. Dopo essere finito a processo, è stato assolto dalla Corte d’Assise del Tribunale di Roma perché giudicato “totalmente incapace di intendere e di volere” al momento dei fatti.

Chi è Gianluca Ciardelli? Uccise la moglie Lorella Tomei, ora è stato assolto

I fatti risalgono al 25 maggio del 2021. Gianluca Ciardelli, all’epoca giornalista e autore Rai, uccise la moglie Lorella Tomei, di 63 anni, colpendola alla testa con un oggetto contundente in ceramica mentre dormiva. Poi chiamò il figlio, chiedendogli aiuto. Gli disse che la donna si era sentita male e aveva perso i sensi.

Fu lui a dare l’allarme. Quando i carabinieri arrivarono sul posto, trovarono l’uomo intento a leggere un libro accanto al corpo della moglie. A loro Ciardelli confessò l’accaduto, sostenendo di essere stato spinto a farlo dai “massoni”, di essere “posseduto”.

Secondo gli esperti che lo hanno visitato in carcere, sarebbe affetto da una grave forma di disturbo bipolare maniacale. Disturbo che, al momento dei fatti, lo avrebbe reso “totalmente incapace di intendere e di volere“. Per questo, nonostante l’accusa di omicidio aggravato, i giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Roma alla fine lo hanno assolto.

A fronte di un efferato delitto come questo avrei chiesto il massimo della pena, ma in questo caso l’atto è stato commesso in stato di incapacità di intendere e di volere del soggetto,

ha detto, nel corso della sua requisitoria, il pm Antonio Verdi. L’uomo dovrà comunque trascorrere 15 anni in una Rems, una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dove si trovano gli autori di reato considerati “socialmente pericolosi” anche se infermi o seminfermi di mente oppure coloro che, nonostante il fine pena, secondo i giudici non sono ancora pronti per tornare in libertà, come Luca Delfino, il “killer delle fidanzate”.

La questione dell’infermità totale o parziale di mente

L’articolo 88 del Codice penale italiano recita che “non è imputabile” chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era incapace di intendere o di volere. Nei casi in cui l’autore di un reato venga invece giudicato dai periti “seminfermo di mente” avrà diritto a uno sconto di pena, come è accaduto, di recente, nel caso di Alberto Scagni, accusato dell’omicidio della sorella Alice, consumatosi a Quinto, Genova, nel 2021.

L’uomo, di 42, è stato condannato a 24 anni e 6 mesi di detenzione, ma rischiava l’ergastolo perché gli erano state contestate tre aggravanti, di cui solo una, alla fine, è rimasta in piedi: quella della premeditazione (visto che si recò sotto casa della sorella, con cui aveva avuto diverse liti, già munito di coltello). I genitori, Graziano Scagni e Antonella Zarri, avevano chiesto più volte di ricoverarlo, perché pericoloso, senza essere aiutati.

Così il 42enne, dopo aver minacciato di fare del male ad Alice, aveva messo in atto i suoi piani e, dopo averla aspettata accanto al portone d’ingresso del suo condominio, l’aveva colpita a morte sotto gli occhi inermi del marito Gianluca che, una volta sentite le sue urla, si era affacciato dal balcone per capire cosa stesse succedendo, vedendola crollare a terra esanime.

Nel commentare la sentenza di primo grado uno degli avvocati di Scagni, Alberto Caselli Lapeschi, aveva definito il risultato “un successo”, ma aveva anche detto di aspettarsi un ricorso in Appello. Poi Scagni è stato aggredito in carcere a Sanremo – dove era stato trasferito dopo essere stato preso di mira da altri detenuti, a Marassi – ed è stato ricoverato. Attualmente è in coma farmacologico e non può essere svegliato perché le sue condizioni sarebbero ancora gravi.