Una testimonianza coraggiosa ha gettato luce sulle attività criminali della famiglia di Rosario Arena, un boss mafioso di 44 anni, e sulle minacce che ha inflitto alla sua ex moglie: la donna ha dichiarato agli inquirenti della Dda di Reggio Calabria di essere stata costretta a convivere con Arena sin dall’età di 15 anni e di aver subito pressioni psicologiche continue, degenerate in minacce di morte (“per te è pronta la ruspa“) in seguito alla separazione.

Il boss mafioso contro la ex-moglie: “Per te pronta la ruspa”

Mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita“, ha riferito la vittima ai pm. Le accuse mosse contro l’ex marito e l’ex suocero riguardano minacce ed estorsione, ritenendoli vicini alla ‘Ndrangheta.

La donna, rimasta in silenzio per anni, ha finalmente rotto il silenzio, raccontando le vessazioni subite e il contesto in cui è stata costretta a vivere. “Io e i miei genitori abbiamo capito che non ci potevamo opporre“, ha rivelato nel verbale. La convivenza forzata iniziò nel 2001 quando, a 15 anni, venne rapita da Rosario Arena e obbligata a vivere con lui fino a quando, nel 2003, divenne maggiorenne e dovette sposarlo.

Le intimidazioni non si limitavano alle minacce di morte, ma includevano anche pressioni affinché la donna partecipasse attivamente alle attività illecite della famiglia, come il traffico di stupefacenti. La vittima racconta che il suo ex marito la chiamava “pentita” perché si rifiutava di coinvolgersi nelle attività illecite, arrivando anche a usarle violenza fisica.

La tragedia della vittima: “Io, rapita e costretta a sposarlo”

Il contesto familiare oscuro emergerebbe da intercettazioni e dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. La donna ha inoltre svelato che, durante la detenzione di Arena, le minacce continuarono attraverso i figli, con l’ex marito che prometteva di “sistemare tutto” una volta scarcerato.

Le indagini hanno portato anche a scoprire minacce rivolte a un medico dell’ospedale di Bari per ottenere certificati falsi e favorire la concessione dei domiciliari a Domenico Arena, detenuto all’epoca. Inoltre, padre e figlio sono accusati di estorsione ai danni di una cooperativa agricola, considerata fonte di reddito illecito per la famiglia Arena negli ultimi 18 anni.