Pietro Morreale è stato da poco condannato in Appello per l’omicidio dell’ex fidanzata Roberta Siragusa, uccisa e data alle fiamme a Caccamo, in provincia di Palermo, all’età di 17 anni; la madre però continua a pensare che non sia stato lui ad uccidere la ragazza. Lo ha ribadito anche ieri, 29 novembre, a Pomeriggio Cinque.

Pietro Morreale condannato per l’omicidio di Roberta Siragusa, le parole della madre

È colpevole per l’occultamento di cadavere e l’omissione di soccorso, ma sulla sua coscienza non c’è l’omicidio.

Con queste parole Antonina Zoida ha difeso il figlio Pietro Morreale – da poco condannato anche in Appello per aver ucciso l’ex fidanzata Roberta Siragusa a Caccamo, in provincia di Palermo – in diretta tv, sostenendo che a suo carico non ci sarebbero prove, perché

c’è un video del Ris di Messina dove si vede che Pietro era distante quasi 27 metri da dove Roberta ha preso fuoco.

Un luogo, il parcheggio del campo sportivo di Caccamo, che i ragazzi conoscevano bene, perché “spesso ci si appartavano”. Lì, secondo gli inquirenti, Morreale avrebbe bruciato viva la fidanzata dopo averla colpita con un sasso.

Poi avrebbe nascosto il suo corpo ai piedi di un dirupo vicino, fingendo che la ragazza si fosse suicidata dopo essersi cosparsa di benzina per spaventarlo, visto che lui avrebbe voluto lasciarla. Una tesi definita “lunare e avventurosa” dagli avvocati di parte civile.

La ricostruzione del femminicidio della 17enne

Secondo i giudici di primo e di secondo grado Morreale è colpevole. Non a caso è stato condannato al massimo della pena, l’ergastolo. Stando alla versione dell’accusa, avrebbe picchiato la fidanzata, che aveva deciso di lasciarlo, al culmine di una lite scoppiata dopo che entrambi avevano preso parte a una serata tra amici.

Nei pressi del campo sportivo, come dimostrerebbe un video finito agli atti delle indagini, servendosi di una tanica di benzina che aveva portato con sé, le avrebbe poi dato fuoco. Infine si sarebbe disfatto del corpo gettandolo in un dirupo non distante dall’abitazione della vittima.

Le similitudini con l’omicidio di Giulia Cecchettin

L’omicidio di Roberta Siragusa ricorda molto quello di Giulia Cecchettin, consumatosi a Vigonovo, in provincia di Venezia, lo scorso 11 novembre. Come la 17enne di Caccamo, anche la 22enne è stata uccisa per mano dell’ex fidanzato che, come Morreale, non accettava la fine della loro relazione.

Come la 17enne anche la 22enne è stata trovata morta in un dirupo. Ci è stata gettata da Turetta dopo essere stata colpita in due atti di “inaudita ferocia”, come li ha definiti il gip, nei pressi di un parcheggio situato a circa 150 metri di distanza dalla sua abitazione e poi a un quarto d’ora di macchina da lì.

È probabile che anche tra loro, prima, ci fosse stata una lite: sembra che Giulia fosse esasperata dai suoi comportamenti di “gelosia ossessiva” e che alle amiche avesse addirittura chiesto come fare per potersi liberare di lui, che già ad agosto aveva lasciato. Pochi giorni dopo il delitto avrebbe dovuto laurearsi in Ingegneria biomedica. Poi avrebbe seguito il suo sogno di diventare un’illustratrice di libri per bambini e ragazzi.

Suo padre, Gino Cecchettin, dopo la sua morte aveva scritto che “l’amore non uccide”. Una frase che anche la madre di Roberta, Iana Brancato, si è sentita ora di condividere sui social, facendo notare il drammatico aumento del numero dei femminicidi, oltre 100 dall’inizio del 2023, e dichiarando che sì, giustizia è stata fatta, ma che anche lei e suo marito, dalla morte della figlia “sono all’ergastolo”.

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