Ormai da tempo, al centro della discussione, tanto nella politica quanto nella magistratura, c’è l’annosa questione della separazione delle carriere: ma qual è il suo significato? Di cosa stiamo parlando esattamente? Quali possono essere i vantaggi e quali gli svantaggi? Chi si schiera a favore? Chi si schiera contro? Cerchiamo di rispondere a tutte queste domande e di fare chiarezza sull’argomento.

Che cos’è la separazione delle carriere: il significato

Per capire in cosa consiste la separazione delle carriere e il suo significato dobbiamo prima chiarire qualche punto. Partiamo dal presupposto che nel nostro Paese i magistrati requirenti – ovvero i pubblici ministeri che conducono le indagini – e i magistrati giudicanti – cioè i giudici dei tribunali e delle corti – seguono la medesima carriera.

Ciò vuol dire che questi uomini e queste donne partecipano ad un unico concorso. Di tutto si occupa il Consiglio superiore della magistratura. I magistrati si distinguono poi in base alle funzioni che svolgono, garantendo sempre che la magistratura sia autonoma, indipendente da ogni tipo di influenza e che segua strettamente la legge italiana (così come indica la Costituzione).

Ebbene, chi spinge per la separazione vorrebbe che questi uomini e queste donne compiano una scelta definitiva per la loro carriera. Essi sarebbero in questo caso portati a decidere tra un programma o un altro, sin dall’inizio. In questo modo si spezzerebbe l’appartenenza ad un unico ordine giudiziario di giudici e pubblici ministeri.

Ricordiamo comunque che nel 2022, con la riforma Cartabia (clicca qui per approfondire di cosa si tratta), è stata ridotta la possibilità di effettuare il passaggio da pm a giudice e viceversa. Secondo quanto è in vigore al momento, ciò è permesso una sola volta nella carriera nei primi 10 anni.

La questione in realtà è molto complicata e sta dividendo non solo il mondo della politica, ma anche e soprattutto quello della magistratura, tra persone che si schierano a favore della riforma e persone che si schierano invece contro. Il Governo comunque sta andando nella prima direzione. Cioè sta lavorando per mettere in atto la separazione delle carriere dei magistrati.

Lo ha ribadito ultimamente il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il politico, nella mattinata di venerdì 29 novembre 2023, ha affermato che la separazione delle carriere ci sarà e avverrà in primavera. Ha tuttavia precisato che per il momento la priorità del Governo è quella di procedere con la riforma del premierato.

Il ministro Nordio ha aggiunto:

Questa riforma passa attraverso una revisione costituzionale e un referendum, ed oggi non possiamo inserire un argomento spurio che va collegato alla riforma del Csm e all’obbligatorietà dell’azione penale. Si farà in primavera.

Chi è pro e chi è contro

Chi si mostra favorevole alla separazione delle carriere mette al centro una presunta irresponsabilità del sistema giudiziario italiano, legata al fatto che in uno stato come l’Italia i magistrati dovrebbero limitarsi ad applicare correttamente le leggi.

Ad essere pro ad una riforma che divida la magistratura giudicante da quella requirente sono stati, nel tempo, personaggi come Giovanni Falcone, Giovanni Conso, Sabino Cassese, Giuliano Vassalli. Anche il Governo guidato da Giorgia Meloni vuole andare in questa direzione.

L’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio si è più volte espresso in tal senso e ha fatto presente che così succede in tante altre parti del mondo. Anche diversi esponenti del governo come il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è schierato a favore e ha riferito che l’esecutivo si sta impegnando affinché si possa procedere ad una riforma della giustizia che porti da un lato al premierato e dall’altro all’autonomia delle carriere.

Chi invece sostiene la carriera comune sottolinea l’importanza di mantenere, come indica la Costituzione, un percorso unico per i magistrati, in modo tale da mantenere la stessa cultura di base tra giudici e pm.

Altrettanti sono le voci contro una possibile riforma in questo senso. Secondo costoro la separazione delle carriere si baserebbe sulla convinzione che da questa potrebbe derivare un controllo dell’esecutivo sul pubblico ministero. Tra le voci più autorevoli contrarie vi è quella dell’Associazione Nazionale Magistrati.