Il governo non ha abbandonato l’intenzione di riformare il sistema pensionistico. Non è stato possibile nel 2023, ma l’esecutivo ci proverà nei prossimi due anni. La situazione attuale delle finanze pubbliche, insieme all’aumento delle spese pensionistiche a causa dell’incremento dell’inflazione, ha obbligato il governo a proporre solo alcuni interventi mirati nella manovra attualmente in fase di esame al Senato. Questi interventi, per la maggior parte, sembrano assumere la forma di misure temporanee, ma la riforma organica precedentemente promessa da alcune forze politiche all’interno della corrente di centrodestra è soltanto rimandata.
Riforma pensioni 2024 – 2025
La Premier Giorgia Meloni ha chiaramente suggerito ciò durante il question time al Senato del 23 novembre scorso, confermando che la riorganizzazione del sistema pensionistico rimane un obiettivo fondamentale del mandato legislativo. Tuttavia, già nel disegno di legge di Bilancio presentato a ottobre, sono presenti alcuni elementi che sembrano anticipare la futura riforma.
Quest’ultima, a meno di cambiamenti, sembra concentrarsi su un sistema di uscite anticipate legate a una ricalcolata contributiva dell’assegno e sulla revisione dell’attuale sistema di indicizzazione dei trattamenti.
Queste modifiche dovrebbero essere accompagnate da misure e nuove strategie volte a rafforzare la sicurezza previdenziale dei lavoratori che hanno versato contributi per intero, soprattutto dei più giovani, e a incentivare ulteriormente l’adesione alla previdenza complementare.
Da tempo, la Commissione Europea richiede al nostro Paese di rendere il sistema previdenziale sostenibile nel lungo periodo. Per soddisfare questa richiesta, è essenziale contenere la crescita delle spese e limitare i ricorsi ai pensionamenti anticipati, evitando inizialmente di favorirli.
È quanto accaduto, ad esempio, con l’esperimento triennale di Quota 100, iniziato nel 2019 (consentiva l’uscita con 62 anni d’età e 38 anni di contributi). Il freno agli anticipi pensionistici costituisce la base di gran parte delle nuove disposizioni previdenziali previste nella manovra per il 2024.
Questo pacchetto contempla restrizioni e sanzioni nel caso di accesso a Quota 103 (almeno 62 anni d’età e 41 anni di contributi), principalmente attraverso il ricalcolo contributivo dell’assegno, e aumenta l’età anagrafica nel caso si faccia ricorso ad Ape sociale e Opzione donna.
Ricalcolo contributivo
Il governo non ha rinunciato all’obiettivo di attuare una riforma pensionistica entro la fine della legislatura. La direzione da seguire è stata già delineata durante le sessioni tecniche dell’estate 2023, coinvolgenti l’Osservatorio per il controllo della spesa previdenziale, istituito dalla ministra del Lavoro Marina Calderone, e le parti sociali. Indicazioni in tal senso sono state fornite anche dalle audizioni parlamentari relative al bilancio e dai resoconti della Corte dei Conti.
Secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, la nuova opzione Quota 103 potrebbe fungere da esperimento preliminare, il cui successo potrebbe prefigurare un futuro canale pensionistico flessibile, applicabile a tutti i lavoratori. Questo potrebbe contemplare requisiti di uscita inferiori di due o tre anni rispetto ai normali requisiti pensionistici (sia per l’età anagrafica che per l’anzianità contributiva), seguiti da un calcolo contributivo completo dell’assegno. Altrimenti, potrebbe prevedere un approccio incentrato sull’età e sull’anzianità contributiva, consentendo anticipi e posticipi sempre mediante il calcolo contributivo completo.
Quota 41
Tuttavia, rimane incerto se la flessibilità nell’uscita sarà basata su un mix di requisiti di età anagrafica (superiore a quelli attuali) e di anzianità contributiva, oppure solamente sul numero di anni versati. Quest’ultima opzione è quella considerata da una parte della maggioranza, in particolare dalla Lega, che sostiene Quota 41, consentendo l’uscita anticipata dopo 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età.
Questa misura, se adottata, risulta costosa e non perfettamente allineata con le richieste dell’Unione Europea per quanto riguarda la sostenibilità previdenziale, da cui il Ministero dell’Economia sembra non voler troppo discostarsi.
Nuovo sistema di indicizzazione
Verso la fine del 2023, la spesa pensionistica supererà i 317 miliardi, rispetto ai 297,1 miliardi dell’anno precedente, con un ulteriore aumento previsto a 340,5 miliardi nel 2024 (il 16% del PIL). Questo incremento è in gran parte attribuibile all’indicizzazione degli assegni in risposta all’incremento dell’inflazione. Al fine di mitigarne gli effetti, nel corso dell’anno precedente, il governo Meloni ha introdotto un nuovo meccanismo che garantisce un adeguamento completo solo per le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS, con riduzioni progressive per le successive fasce di assegni più elevati.
Con l’attuale disegno di legge di bilancio, la fascia più elevata delle pensioni (oltre 10 volte il minimo) subisce un’ulteriore riduzione: l’adeguamento per il 2024, originariamente fissato al 5,4% secondo il decreto ministeriale dell’Economia, viene ridotto dal 32% al 22%. Queste non sono le uniche novità introdotte dalla presente manovra in esame nelle Camere: si prevede anche la creazione, presso il Ministero dell’Economia, di una Commissione di esperti incaricata di valutare parametri e criteri per la rivalutazione delle prestazioni previdenziali e sociali dall’1 gennaio 2027, eventualmente cambiando l’indicatore di riferimento dalla spesa per consumi delle famiglie degli operai e degli impiegati (FOI) al deflatore del PIL.
L’Upb ha sottolineato come il compito affidato alla Commissione di esperti non sia semplice, poiché sarà necessario bilanciare la tutela dei redditi più bassi con il disegno delle aliquote per i redditi più elevati, evitando meccanismi troppo complessi da gestire e aggiornare. Inoltre, l’utilizzo del deflatore del PIL potrebbe comportare rischi per i redditi più bassi, riducendo il potere d’acquisto delle pensioni anche se indicizzate al 100%, con il rischio di creare situazioni di scarsa adattabilità ai bisogni quotidiani.
Tante parole parole parole ma il nuovo governo cosi facendo agevola il lavoro nero…. A cosa serve pagare tanti contribut6se poi bisogna aspettare prima di poter riscuotere quanto versato. I paletti posti per opzione donna sono a dir poco la prova provata di quanta discriminazione questo governo crea. Ci si lamentava della legge Fornero ma ora siamo predestinati ad essere gli zimbelli dell’Europa. Questo governo è pronto ad utilizzare i nostri risparmi per aiutare cani e porci ma non i lavoratori italiani.
Buona sera ! Siccome sono rumena ,vorrei sapere se posso andare in pensione con anni lavorati in Italia , contributi pagati ,17 e 16, 5 anni in Romania , a l’età di 65 anni ??? Grazie