Crescono a macchia d’olio e il proprietario cambia in pochi mesi o pochi anni. I mini market dei cittadini extracomunitari, per lo più bengalesi, sono entrati prepotentemente all’interno dell’economia italiana ormai da più di una decina d’anni, non senza polemiche. Non hanno risentito della crisi nemmeno durante il lockdown causato dal Covid.
Minimarket in Italia: tema molto caro a FdI che da subito ha denunciato la concorrenza sleale
“Perché gli extracomunitari continuano ad aprire attività e in Italia, mentre gli italiani chiudono? Perché sono più bravi di noi a fare commercio? No, perché aprono e chiudono l’azienda prima dei due anni, quando lo Stato comincia a fare i controlli, spariscono e aprono un’altra azienda, chiudendo la precedente. Con questo giochetto, tu non li trovi mai e intanto evadono miliardi e miliardi di euro.
Ma davvero non si può fare niente a riguardo? Io ho presentato una proposta e me l’hanno bocciata tre volte: se un extracomunitario vuole aprire un’azienda in Italia, deve versare come cauzione una cifra pari a 30mila euro che poi verranno scalati dalle tasse. Così i commercianti italiani e quelli extracomunitari competono a un livello pari”.
Un discorso che parte da lontano quello di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e attuale presidente del Consiglio. Parole pronunciate alla trasmissione “Non è l’arena” condotta da Massimo Giletti e andata in onda su La7 nel 2019. Tre anni prima che diventasse la prima premier donna italiana. Quello della concorrenza sleale è stato un caposaldo della campagna elettorale di FdI, evidenziato anche da un video in prima persona di Giorgia Meloni il 18 agosto 2022, un mese prima di salire al governo.
#Pronti a difendere chi fa impresa rispettando le regole. Le PMI sono l’ossatura della nostra Nazione e i custodi del Made in Italy. Vogliamo restituire dignità e libertà di fare impresa, creare lavoro e ricchezza. Basta abusivismo e concorrenza sleale. #DifendiamoilMadeinItaly pic.twitter.com/p2esrdwP3G
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) August 18, 2022
Il tema è sempre quello della fideiussione a garanzia del corretto pagamento delle tasse da parte dei cittadini extraeuropei che arrivano in Italia e si buttano nel mondo del commercio. Uno sguardo viene dato particolarmente a Roma, città di nascita di Giorgia Meloni e città con più abitanti d’italia e con più turisti. Nella capitale ci sono tantissime attività commerciali avviate da cittadini extracomunitari, soprattutto nelle zone più centrali e turistiche. Solo nel centro si contano oltre 1200 attività, per un totale di circa 3500 attività simili all’interno del perimetro della capitale.
Tanti in pochi metri, gli altri esercenti: “Com’è possibile che non falliscano?”
Quello che balza all’occhio è anche il numero di questi mini market in pochi metri: vicino alla fermata della metropolitana di Roma Ottaviano (a pochi passi da Piazza San Pietro), se ne contano oltre 10 in uno spazio compreso tra poche centinaia di metri. In via Germanico, adiacente alla stazione metro citata prima, ne troviamo tre in 10 metri, con due confinanti. Botteghe che vendono le medesime bevande, i medesimi articoli e i medesimi souvenir.
Ma come fanno a resistere e come fanno a essere sempre di più? Oltre il 65% dei mini market a Roma è di proprietà di cittadini non italiani (di cui il 60% gestito da extracomunitari). Un importante fattore che agevola il loro mercato è la chiusura fissata durante l’orario notturno, rimanendo aperti quando la maggior parte dei supermercati o delle altre botteghe ha già chiuso. Ciò quindi reca un vantaggio a queste attività, anche se marginale dato che la concorrenza è tanta, soprattutto nel centro storico.
Mala movida e concorrenza sleale: mini market attaccati da commercianti e residenti
Giorgia Meloni tempo fa li aveva definiti negozi “apri e chiudi”, per via delle agevolazioni fiscali che hanno i lavoratori extracomunitari in Italia. Dopo i canonici due anni, chiudono l’attività o la aprono per conto di un prestanome, e così via. Davide, ristoratore nel quartiere centralissimo di Prati, spiega il fenomeno: “Durante il periodo del Covid noi che abbiamo un’attività siamo stati bersagliati dalle elevate spese che abbiamo dovuto sostenere. Non capisco come facessero loro senza manco un cliente durante l’intera giornata. E non capisco poi come sia possibile che nel quartiere il numero di questi negozi sia aumentato nel periodo pandemico e in quello post-pandemico”.
Oltre ai ristoratori che si interrogano, ci sono gli abitanti delle varie zone romane che accusano i proprietari dei mini market di incentivare la mala movida. Sì, perché soprattutto nel centro storico, vengono presi d’assalto dai turisti anche nelle ore notturne, vendendo alcolici a qualsiasi orario e arrecando disturbo ai residenti.
Quella dei mini market però è stata una battaglia accantonata finora da FdI. Il Premier non ha più trattato l’argomento e verso queste attività cresce anche soprattutto il malcontento da parte dei piccoli commercianti quali panettieri, bottegai, fruttivendoli. Anche perché l’elettorato della Meloni si basa per il 37% (dato relativo alle elezioni nazionali di settembre 2022) di commercianti. Un peso specifico non indifferente per l’attuale presidente del Consiglio.
La maggior parte dei cittadini di origine bengalese, secondo la Camera di Commercio, il 45% si occupa del commercio all’ingrosso e al dettaglio.