Prenderà il via il 7 febbraio 2024 il processo a carico di Mohamed Gaaloul, il 30enne di origine tunisina accusato dell’omicidio di Alice Neri, la giovane mamma di Ravarino trovata morta carbonizzata a Fossa di Concordia, nel Modenese, ormai un anno fa. Arrestato in Francia ed estradato in Italia, l’uomo si trova in carcere da dicembre e si è sempre professato innocente. Ora dovrà rispondere di omicidio e distruzione di cadavere, ma avrebbe anche tentato di violentare sessualmente la vittima.
Omicidio Alice Neri, al via il processo a Mohamed Gaaloul
Il legale che difende Gaaloul, l’avvocato Roberto Ghini, ha chiesto e ottenuto, per il suo assistito, il giudizio immediato, che permette di anticipare il dibattimento senza finalità premiali per l’imputato, a differenza di quanto avviene con il rito abbreviato.
Il suo obiettivo era arrivare in tempi brevi al processo perché, a suo avviso, “ci sono innumerevoli aspetti, piste alternative che non sono mai state minimamente seguite, tematiche che dovevano essere accertate in fase di indagine e che non sono state accertate”, sul caso.
Lo aveva spiegato in un’intervista rilasciata in esclusiva a Tag24, mettendo in evidenza il fatto che la Procura abbia da sempre puntato il dito contro Gaaloul, escludendo la possibilità di risoluzioni diverse. Il 30enne di origine tunisina si è sempre professato innocente, ma a suo carico ci sono gravi indizi di colpevolezza.
È accusato di aver accoltellato Alice Neri al cuore dopo un tentativo di violenza sessuale e di averne bruciato il corpo, riducendolo a uno scheletro. Davanti alla Corte d’Assise di Bologna, nel corso del processo che si aprirà il prossimo 7 febbraio, dovrà rispondere delle accuse di omicidio volontario e distruzione di cadavere, stessi reati per cui era stato arrestato in Francia e poi estradato.
I gravi indizi di colpevolezza a carico dell’unico indagato
Dopo l’archiviazione delle posizioni del marito e di un collega di Alice Neri, iscritti nel registro degli indagati come atto dovuto, Gaaloul era rimasto l’unico sospettato. Ad incastrarlo ci sarebbero diversi elementi. Innanzitutto, stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, sarebbe stato l’ultimo a vedere la 32enne, alla quale, la sera del delitto, avrebbe chiesto un passaggio.
Conosceva bene, poi, il luogo “ameno” in cui il corpo della giovane mamma fu trovato carbonizzato, un terreno in cui si era recato spesso con gli amici e con le sue amanti. Doveva anche sapere che un contadino ci teneva una tanica di olio esausto. Lo stesso che, secondo gli accertamenti, sarebbe stato usato, insieme a della benzina, per appiccare l’incendio seguito all’accoltellamento. Sui suoi vestiti sono state trovate macchie d’olio; all’interno del suo borsello tracce del Dna di Alice.
Il fatto che il giorno dopo il delitto sia fuggito all’estero, con la scusa di cercare lavoro, non ha fatto altro che alimentare i sospetti degli inquirenti. Così come alimenta i sospetti il fatto che non abbia mai cercato di discolparsi, di urlare la sua innocenza, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
La questione del “terzo uomo”
Non è solo la difesa a pensare che la Procura non abbia indagato abbastanza. Anche secondo i consulenti del marito di Alice Neri occorerebbe tornare a vagliare qualche posizione. Quella del cosiddetto “terzo uomo”, ad esempio: un collega di lavoro di Alice che, secondo loro, avrebbe un alibi poco attendibile, da verificare.
L’uomo non è stato mai indagato, ma per un periodo di tempo era comunque finito nel mirino degli investigatori. Sembra infatti che avesse inviato ad Alice delle lettere d’amore e che, la mattina seguente all’omicidio, sia arrivato sul luogo di lavoro più tardi del previsto, pur essendo uscito di casa molto presto.
Ne parlavamo in questo articolo: Omicidio Alice Neri, possibile svolta? I consulenti del marito: “Indagare su un collega, il suo alibi non regge”