“Ti faccio fare la fine di quella là”, con queste parole un diciottenne di Aosta ha minacciato la sua ex fidanzata, ed è stato arrestato.

Quello che è accaduto fa sorgere una domanda importante: quanto è alto il rischio emulazione nel femminicidio? In cosa consiste? Come si evolve? Scopriamo tutti i dettagli nell’articolo.

Femminicidio: quanto è alto il rischio di emulazione

I femminicidi aumentano e diventano sempre più scioccanti. La ritualità dietro questi omicidi, spesso scaturiti da separazioni non accettate e alimentati da gelosia, possesso, invidia, evidenzia una tendenza molto preoccupante.

Qual è il ruolo dei media in tutto questo? La ripetitività delle notizie di femminicidi può alimentare l’effetto emulazione, portando alcuni soggetti vulnerabili a replicare tali azioni.

L’analisi dettagliata delle dinamiche del crimine, compresi i modi in cui vengono uccise le donne, nascosti i cadaveri e così via, presentata dai media, è cruciale per comprendere e affrontare questo fenomeno in modo più efficace.

L’informazione ha la responsabilità etica di tenere conto della potenziale influenza su individui fragili mentalmente.

Questo non significa che debba cadere il silenzio sui femminicidi. Al contrario, si fa bene a parlarne. Ma psicologi, giornalisti, magistrati, assistenti sociali, devono interrogarsi sulla possibilità che la continua enfasi mediatica su tali crimini possa, paradossalmente, contribuire ad innescarne altri.

E quindi cosa si dovrebbe fare? Parlarne sì, ma evitare di arricchire la cronaca con dettagli superflui, sfiorando quasi un compiacimento morboso.

La narrazione di questi crimini dovrebbe essere più etica, meno raccapricciante nei dettagli, evitando di offrire eccessiva enfasi a particolari non essenziali.

Questi racconti possono influenzare in modo negativo chi è già incline a gesti violenti.

Aosta, minaccia e perseguita la ex. Arrestato diciottenne.

Per evitare il rischio di emulazione, bisogna evitare di spettacolarizzare i femminicidi

I femminicidi non possono e non devono diventare spettacolizzazioni del male, morbosità di dettagli macabri, intrattenimento.

In questo modo si rischia di banalizzare il problema. Non è questo il modo giusto per affrontare e superare il problema, e sinora infatti non ha sortito alcun effetto.

Il problema è culturale e sociale, e ognuno di noi dovrebbe mettersi in discussione. Si può iniziare dall’educazione sentimentale a scuola, è vero, ma anche questa non è l’unica soluzione. Molto di quello che si può fare è educare i propri figli.

Le parole hanno un significato preciso, e la semantica è inevitabilmente politica. Per lungo tempo, e ancora oggi in alcuni media, quando una donna viene assassinata all’interno di una coppia, si parla di crimine passionale o dramma familiare.

Si restringe questo crimine alla sfera privata e, in qualche modo, si giustificano gli atti dell’aggressore con emozioni incontrollabili. Viviamo in una società in cui le disuguaglianze di genere e gli stereotipi sessuali sono radicati.

Durante un femminicidio, il coniuge non uccide per amore, non sopporta che sua moglie lo lasci o si emancipi, perché la considera come sua proprietà.

Bisogna interrogarsi in particolare sulle nostre costruzioni sociali, sulle rappresentazioni sessiste delle donne nello spazio pubblico, anche agli stereotipi utilizzati nella pubblicità.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce il femminicidio in base a quattro categorie: il femminicidio “intimo”, corrispondente a violenze familiari e coniugali; il femminicidio “per l’onore”, riferito all’omicidio di una donna per proteggere l’onore della sua famiglia; il femminicidio “legato alla dote”, cioè l’omicidio di una giovane donna per mancato pagamento della sua dote e il femminicidio “non intimo”.

Al di fuori del femminicidio intimo, non abbiamo alcuna idea delle statistiche degli altri tipi di femminicidio.

Altri femminicidi non sono nemmeno presi in considerazione: quelli i cui crimini non sono stati risolti, in cui la donna è scomparsa, in cui i servizi statistici non dispongono di dati sufficienti.

Senza dimenticare la questione delle donne spinte al suicidio a causa del comportamento violento del loro coniuge.

È necessario aumentare i luoghi di accoglienza e i centri di alloggio specifici e disponibili. Inoltre, quando ci sono bambini, non è raro, nonostante la storia di violenza, che la giustizia decida di mantenere il contatto con il padre, il che gli consente di mantenere un mezzo di pressione sulla madre.

La giustizia deve tenere conto di questo aspetto limitando l’esercizio della responsabilità genitoriale, l’accesso alla residenza del bambino e i diritti di visita e alloggio dell’aggressore.

Per combattere questo fenomeno è necessario unire le forze, politiche, sociali, culturali ed educative.