Quando Alessandro Patelli uccise, accoltellandolo, il padre di famiglia Marwen Tayari sotto la sua abitazione di via Novelli, a Bergamo, lo fece “per poter sfogare la propria pulsione violenta”: è ciò che si legge nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso settembre i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia hanno confermato la condanna a 21 anni emessa in primo grado nei suoi confronti.
Omicidio di via Novelli a Bergamo, le motivazioni della sentenza d’Appello
I fatti risalgono all’8 agosto del 2021. Tayari si trovava in compagnia della moglie e delle figlie di 2 e 12 anni sotto l’abitazione di Patelli quando il giovane, uscito per raggiungere in moto il fratello ricoverato a causa di un incidente, urtò per sbaglio una delle bambine, seduta sui gradini davanti al portone del condominio.
Il 34enne, di origine tunisina, rimproverò il ragazzo, chiedendogli di fare più attenzione. Ne nacque una discussione molto accesa, al culmine della quale il 21enne, risalito in casa con la scusa di aver dimenticato il casco, afferrò un coltello e, una volta risceso, colpì l’uomo per sei volte, lasciandolo a terra inerme.
Secondo i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia, che a settembre hanno confermato la condanna a 21 anni di carcere emessa nei confronti del ragazzo in primo grado, avrebbe agito
per poter sfogare la propria pulsione violenta, cui non è risultata affatto estranea una qualche deplorevole intolleranza di natura razzistica.
Non è vero, insomma, che quando colpì il 34enne lo fece per difendersi, né che ci fu “un eccesso colposo”, come il legalo che lo assiste, l’avvocato Ivano Chiesa, ha sempre sostenuto, chiedendo che fosse assolto. In questo caso la legittima difesa non sussisterebbe, perché, stando a quanto emerso nel corso delle indagini, fu lui a provocare la vittima (rispondendo in modo arrogante al suo rimprovero e fomentandolo) e non viceversa.
Fu lui a rivolgersi a Tayari con appellativi denigratori come “straniero di me**a”, chiedendogli di “farsi avanti” e non, come lui aveva raccontato, il contrario, cioè che il 34enne gli si avvicinò con fare minaccioso brandendo per le mani una bottiglia di birra, come a volerlo colpire. Se anche lo avesse fatto, indossando il casco lui non avrebbe riportato lesioni o, semplicemente, sarebbe potuto rientrare in casa.
La questione dei futili motivi
Al 21enne è stata contestata l’aggravante dei futili motivi (che la difesa aveva chiesto di escludere, dando maggior peso alle attenuanti generiche della giovane età e dell’incensuratezza). Si tratta di un’aggravante riconosciuta in tutti i casi in cui un evento criminoso sia causato da uno stimolo esterno lieve, banale, del tutto sproporzionato rispetto alla gravità del reato. In pratica, secondo i giudici,
l’imputato per un semplice, quanto giustificato rimprovero, ha strappato per sempre agli affetti dei suoi cari davanti agli occhi di una bambina (la 12enne, quella più piccola non avrebbe capito ciò che stava succedendo, ndr) un uomo di 34 anni.
La reazione dei familiari di Patelli
Nel commentare la sentenza, che non aveva fatto altro che confermare quella di primo grado, il padre di Alessandro Patelli aveva parlato di una “follia”, sostenendo che la pena riconosciuta al figlio fosse troppo grave.
In passato, intercettato dai giornalisti, era tornato sui drammatici fatti di quell’8 agosto, raccontando che quando rincasò trovò il 21enne in strada, sporco di sangue, e gli corse incontro. Quest’ultimo, sconvolto, gli confessò ciò che aveva fatto, dicendogli: “Mi stava ammazzando”.
Avrebbe ripetuto le stesse cose anche ai carabinieri e poi al gip, dichiarando di aver “rovinato due famiglie” e di non potersi perdonare, ma in aula non è stato creduto. Stando a ciò che si legge nelle motivazioni, il litigio con Tayari fu solo un pretesto, una giustificazione per dare sfogo alla rabbia che celava dentro di sé.
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