La Procura di Roma ha deciso di rigettare la richiesta di riapertura delle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini presentata dall’avvocato Stefano Maccioni a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti. L’obiettivo del legale era arrivare a poter esaminare i tre Dna rinvenuti sulla scena del crimine e non attribuibili né al poeta né all’uomo condannato per la sua morte, Pino Pelosi, nell’ipotesi che quest’ultimo non fosse solo, al momento dei fatti.

Omicidio Pasolini, no dalla Procura alla riapertura delle indagini

L’istanza era stata presentata lo scorso marzo, a ridosso della data di nascita del poeta. Così l’aveva giustificata ai microfoni dell’Agi l’avvocato Stefano Maccioni, che da anni – in quanto legale di David Grieco e Giovanni Giovannetti – si impegna per cercare di arrivare a fare luce sul caso, che dopo 48 anni è ancora, per certi versi, avvolto dal mistero:

Quella notte all’Idroscalo di Ostia, Pino Pelosi non era solo, ci sono almeno tre tracce, tre ‘fotografie’ di persone e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di tre Dna: da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono.

Il riferimento era alle tracce biologiche di tre uomini rinvenute sulla scena del crimine nel corso di alcuni accertamenti condotti dal Ris nel 2010. Tracce che non sarebbero attribuibili né alla vittima né alla persona condannata in via definitiva per il suo omicidio, Pino Pelosi, e che quindi farebbero pensare che la notte dei fatti ad Ostia ci fossero più persone, mai identificate.

L’ipotesi è che picchiarono a morte il poeta dopo averlo attirato in una trappola, forse con la scusa che in cambio avrebbe riottenuto le bobine originali di un film che stava girando e che gli erano state rubate a Cinecittà. Sembra non essere d’accordo la Procura di Roma che, nel rigettare la richiesta di riapertura del caso, ha fatto sapere che i Dna non sarebbero “utili ad aggiungere altri elementi alla mole e alla completezza di indagini, tanto da condurre alla prosecuzione delle indagini”. Niente da fare, dunque.

La ricostruzione del delitto all’Idroscalo di Ostia

Pasolini fu trovato morto la mattina del 2 novembre 1975 su una spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il suo corpo appariva tumefatto. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, sarebbe stato percosso e poi investito dal giovane con cui aveva trascorso la serata, abbordato a due passi dalla stazione Termini e poi portato in un ristorante in zona Trastevere, il “Biondo Tevere”, fino ad Ostia.

Un giovane “di strada”, diviso tra microcriminalità e prostituzione, di nome Pino Pelosi. Arrestato poco dopo il ritrovamento del corpo mentre era alla guida dell’auto del poeta, il 17enne (scomparso qualche anno fa a causa di una malattia) confessò il delitto, dicendo di essersi scagliato contro l’autore dopo aver rifiutato le sue avances sessuali. Fu condannato, ma negli anni ritrattò, in parte, le sue dichiarazioni, facendo intendere che quella sera non fosse da solo.

Parlò, ad esempio, di tre uomini dall’accento meridionale che avevano colpito Pasolini dopo averlo offeso, in quanto omosessuale. L’idea che in molti si sono fatti è che lui ebbe solo il compito di attirare il poeta in una trappola e che poi furono altre persone ad ucciderlo, forse addirittura per motivi politici. Persone che potevano essere legate alla criminalità organizzata romana, ad esempio, come Giuseppe Mastini, alias Johnny Lo Zingaro, il cui anello fu ritrovato sulla scena del crimine e di cui sembra Pelosi avesse molta paura.

Ne parlava nel dettaglio l’ex capo della squadra omicidi di Roma, oggi direttore operativo della Italpol, Antonio Del Greco, in una puntata di “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia Tv. Riportavamo le sue opinioni, ricostruendo la vicenda dagli esordi fino agli ultimi sviluppi, in questo articolo della rubrica “Storia del crimine”: L’omicidio di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia.