La tragedia di Giulia Cecchettin, assassinata dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ha sconvolto l’opinione pubblica. Giulia è l’ennesima vittima di una cultura patriarcale radicata nel nostro Paese e che penalizza fortemente rispetto agli altri stati europei.
Si discute soprattutto dell’inserimento di un’educazione affettiva a scuola, per prevenire casi simili, evitarli e imparare a riconoscere la violenza. Infatti, l’Italia è fra i sei stati europei in cui non è ancora obbligatoria l’educazione sessuale, insieme a Bulgaria, Romania, Lituania, Polonia e Cipro.
Giulia Cecchettin, Ascari (M5s): “Perché dopo 50 anni di leggi, muore una donna ogni due giorni?”
Sebbene, negli ultimi 50 anni si siano succedute leggi su leggi per combattere la violenza contro le donne, i maltrattamenti e inasprire le pene, poco è stato fatto per prevenire tali casi. Fra le proposte sul tavolo, quella dell’On. Stefania Ascari (M5s) prima firmataria di una proposta che auspica la creazione di uno spazio a scuola di ascolto, discussione e confronto reciproco.
D: Può dirci qualche parola sul suo progetto?
R: Questa proposta è nata nel 2018, quando sono stata relatrice del Codice Rosso, però poi è stata depositata successivamente. Non nasce adesso, è stata maturata con un lavoro di squadra, di rete, in cui ho avuto modo di toccare con mano la voce degli studenti e delle studentesse che sono stati i primi a manifestare questo bisogno di avere uno spazio, un momento di incontro e di riflessione reciproco. E poi dagli insegnanti stessi che hanno a che fare con le esigenze degli studenti. Quindi, la proposta nasce da un lavoro di ascolto, non dall’improvvisazione.
Sono ormai 50 anni che vengono scritte leggi, da ultimo oggi al Senato questo Codice Rosso rafforzato. Abbiamo una delle migliori normative nel contrasto alla violenza a livello europeo, perché abbiamo leggi su leggi che sono volte alla repressione e alla punizione del colpevole, però parallelamente non è mai stata affrontata in modo serio un’educazione all’affettività e alla sessualità. Dico questo perché sono stati 50 anni di leggi, ma viene uccisa una donna ogni due giorni. E fra le ultime, Giulia Cecchettin che potrebbe essere una nostra figlia, amica, sorella o una nostra familiare. Questo deve far riflettere. Se abbiamo le leggi migliori, perché viene uccisa una donna ogni due giorni? Perché, purtroppo, c’è una concezione della donna come se fosse un oggetto di proprietà e deve ubbidire, sopportare e subire. Ciò deriva da una cultura patriarcale sociale, retrograda e sessista.
Cultura patriarcale e cultura dello stupro sono temi ancora tabù nella nostra società. Argomenti di cui non si vuole o non si riesce a parlare, ciò rende più difficile riconoscere e sradicare il paradigma. La deputata del Movimento 5 Stelle aggiunge:
R: Io mi ricordo che quando c’era da apparecchiare e sparecchiare eravamo mia nonna, mia mamma e io a farlo, non, magari, mio padre e questo era un dato di fatto. Questa è una presa di posizione scontata e sottesa. E questo è inconsciamente un patriarcato, perché noi nasciamo con questa cultura. È proprio nella nostra pelle. È con l’educazione, la formazione e l’informazione che si contrasta. Ma se questa formazione non viene fatta, purtroppo, questa cultura rimane indelebile.
Quando Impagnatiello, l’omicida di Giulia, disse “io sono stressato”, disse una cosa fortissima. Stressato perché non tollerava questa autonomia, questa libertà che veniva manifestata e quindi il patriarcato veniva ferito. Questo è un dato agghiacciante che va preso in considerazione come nel caso dell’omicida della Cecchettin, che non tollerava che lei potesse laurearsi prima di lui. Perché questo veniva visto come un fallimento, come una perdita, come un soccombere difronte a un successo, un traguardo meritato che lui non aveva raggiunto.
La prevenzione passa dalla scuola. L’educazione all’affettività e alla sessualità come strumento per distruggere il patriarcato
R: Come si fa a riflettere su questo? In modo sistemico e continuativo all’interno anche della scuola, attraverso uno spazio imparziale e competente per fare delle domande, avere delle risposte, aprire delle riflessioni. Con chi? Con uno psicologo, uno psicoterapeuta, un sessuologo, un’ostetrica, una ginecologa, con il terzo settore e le associazioni antiviolenza, con le vittime che hanno vissuto la violenza e sono in grado di poter dire la loro esperienza per evitare che si ricada in quegli errori.
Deve essere un’educazione che deve partire dai primi banchi. Faccio un esempio concreto: “Maestra, lui mi vuole abbracciare, mi vuole toccare, mi stringe e io non voglio“. Bene, iniziamo a parlare di consenso, iniziamo a parlare di libertà, di spazi, di un corpo che cambia. Iniziamo a insegnare che io ho il diritto di non essere toccata, abbracciata e di essere rispettata e rimanere ugualmente tua amica, in un modo diverso. Questo vuol dire educare. È fondamentale perché questo tema è visto ancora oggi come un tabù e questo comporta avere delle visioni stereotipate e piene di pregiudizi.
Quando in aula, Sasso ha detto contro il mio emendamento che è una “porcheria” e che “lo dobbiamo fare in casa nostra“, questo è un retaggio culturale di una società patriarcale e maschilista, in cui l’affettività e la sessualità sono viste come insegnamento di una masturbazione precoce, di una sessualità precoce, come insegnamento della teoria gender, come insegnamento del “gioco del dottore”. Ma chi dice queste cose, dice delle porcherie. Io prevedo nella mia proposta degli spazi neutrali, imparziali, in cui si stimola l’emancipazione, la libertà, il dialogo, la parità di genere coinvolgendo le famiglie.
Nelle parole dell’On. Ascari rientra un altro grande tema molto dibattuto: il ruolo della famiglia. In Italia sono ancora numerose le realtà familiari in cui i figli sono influenzati da comportamenti sbagliati, o perché vittime di violenza domestica o perché non sanno affrontare tali argomenti. Infatti, in proposito Ascari risponde:
Questo è importante perché ci sono contesti familiari in cui non si affrontano queste tematiche: c’è quel tabù di cui parlavamo. Forse c’è bisogno di un supporto psicologico o emergono situazioni di violenza all’interno di una giovane coppia, magari la famiglia ne è ignara. Coinvolgendola può dare supporto al figlio o alla ragazza. Bisogna aprire un’attenzione tra scuola, famiglia e società tutta. Perché questa è una sensibilizzazione che deve essere fatta a 360°. Esistono delle associazioni antiviolenza, le Forze dell’Ordine hanno uno spazio dedicato al contrasto alla violenza, ci sono gli avvocati che possono dare delle informazioni. C’è il gratuito patrocinio, c’è il servizio sociale, ci sono le case rifugio. Bisogna far capire che c’è un’alternativa alla violenza e che questa non è normale, è un fenomeno criminale. A pagarne le conseguenze sono giovani vittime, una ogni due giorni, con devastazioni e sofferenza alle spalle.
D: Cosa pensa delle parole del Presidente dell’ANP, Antonello Giannelli, quando afferma che “l’educazione affettiva non è una materia e non può essere vista come tale“?
R: Non è una questione di materia, è una questione di uno spazio. Cioè viene destinato uno spazio in cui si ragiona, si stimola al riconoscimento dei sentimenti in tutte le loro sfaccettature, a riconoscere la rabbia, a saperla gestire, come controllarla. Un rifiuto fa capire che il fallimento fa parte della nostra vita.
Vogliamo stimolare la coscienza di giovani ragazzi e ragazze, l’emancipazione e la libertà in un contesto aperto, neutrale, alla presenza di professori che siano formati sui temi della violenza, e quindi abbiano un aggiornamento su quello che sarà questo spazio e soprattutto si vuole far avere la presenza di persone che ruotano regolarmente. Voglio far capire che non è che noi insegniamo, ma che noi ascoltiamo. I protagonisti sono gli studenti e le studentesse. È uno spazio loro, che oggi non hanno. Oggi la società ha smesso di ascoltare, ha smesso di educare e l’educazione viene impartita dal web, dai video.
Infatti, dalle canzoni ai video virali su TikTok, sempre più spesso i giovani ricorrono al mondo di Internet per trovare un rifugio e le risposte alle loro domande. E non sempre questi strumenti sono consoni o permettono di discernere cosa sia giusto da ciò che è sbagliato. Ai giornalisti di TAG24 Ascari ha commentato: “Spesso con i video in tema di affettività e sessualità si finisce nel porno, dove c’è un’oggettivizzazione della donna. Ovviamente c’è una mera prestazione della donna come oggetto a cui si può fare tutto e ovviamente senza conseguenze.
La proposta sperimentale di Valditara, Ascari: “Non è assolutamente sufficiente. Per Amadori? Chiediamo un’informativa urgente”
Questo pomeriggio, il Ministro dell’Istruzione Valditara, il Ministro della Cultura Sangiuliano e il ministro della Gioventù e Famiglia Roccella hanno presentato il progetto pilota per le scuole sul rispetto della parità dei sessi. Una proposta sperimentale che ha già ricevuto non poche critiche.
D: Che dice della proposta del ministro Valditara?
R: È assolutamente insufficiente. Quello che ministro vuole fare è extracurriculare, completamente lasciato alla discrezionalità, non è una legge organica, né fatta in modo strutturale come lo chiediamo noi. Quindi, no, non ci siamo assolutamente. Come l’opuscolo che vuole fare il ministro Nordio, un opuscolo lasciato lì senza avere delle linee guida. Non va bene. Quello che non si capisce è che qui o si batte a tappeto, ci guardi in faccia e si affronti seriamente la cosa o altrimenti ogni due giorni avremo una vittima da piangere.
Se dei ragazzini stuprano una ragazza e lo vedono come normale, tanto da volerlo registrare, metterlo in rete, prendere dei like o dei soldi, è che proprio non capiscono che quella è violenza. Non capire che quello è analfabetismo empatico ed emotivo è non toccare la sofferenza, non sono più abituati a soffrire. Non sono più abituati a riconoscere le emozioni, non le sanno più distinguere, non sanno più distinguere il bene dal male. Siamo a un livello di diseducazione, uso la parola che ritengo più corretta: analfabetismo. Bisogna di nuovo alfabetizzare, ma partendo dal basso per intervenire sul futuro. Oggi gli adulti li possiamo solo contenere in questo, non li possiamo cambiare.
D: Si pensi a quanti si sono scagliati contro la sorella di Giulia, Elena Cecchettin, per le sue affermazioni riguardo il patriarcato. Ci sono stati tantissimi che, invece di empatizzare con lei, l’hanno attaccata per il suo modo di vestire e atteggiarsi.
R: Questo è il pensiero di chi l’avrebbe voluta chiusa in casa, zitta a piangere. Invece, io dò la massima solidarietà a Elena, alle sue parole che sono state in realtà un manifesto lucidissimo che deve spronare anche la politica a seguirlo. Perché questa sorella ha avuto la forza, nonostante il dolore indescrivibile, di mandare dei messaggi potentissimi e ha parlato, appunto, di patriarcato sociale. Anche in questo caso, però, si cerca una sorta di giustificazione al fatto commesso, andando a toccare come veste la sorella.
Si pensi allo stupro di Palermo. Invece di andare a pensare in che condizioni psicologiche si trovi la ragazza, si è andati a indagare nella vita della vittima. Quanti fidanzati ha avuto? Quanto ha bevuto? Che foto pubblica sui social? Che flirt ha? Quindi la vittima se l’è cercata, la vittima è al banco degli imputati. È sempre colpa delle vittime. È questo che dobbiamo sradicare.
D: Molti si sono sentiti attaccati, come se si volesse mettere in croce tutto il genere maschile.
R: No, non è questo che si cerca di fare. Non si vuole generalizzare. La comunicazione che è uscita “Era un bravo ragazzo, le faceva i biscotti. È impossibile che le abbia fatto del male”. Qui non è né un bravo ragazzo né un mostro, perché lui non ha tre piedi e quattro facce. Non è un mostro mitologico: lui purtroppo non è l’eccezione. Quello che dobbiamo capire è che c’è una responsabilità collettiva di cui dobbiamo prendere atto. Siamo tutti responsabili perché tutti nasciamo in un contesto di patriarcato sociale e non ce ne accorgiamo.
Faccio un esempio. Se io vado in una scuola e chiedo “Chi è Francesca Morvillo”, non lo sa nessuno. E non lo sa nessuno perché è stata definita come la “moglie di”, la “fidanzata di”, quando, invece, è stata una delle migliori magistrate, la prima del suo corso e una delle più brillanti professioniste. Poi, da ultimo, è stata anche la moglie di Giovanni Falcone. Ma sempre che ce ne accorgiamo, questi sono stereotipi che crescono perché una donna non viene vista in quanto donna, ma viene vista nella funzione che riveste. Se sei la mia fidanzata, devi ubbidire, sopportare, zitta e muta, altrimenti io mi stresso. Dobbiamo rompere questa catena.
D: Ci vorrà tempo per farlo…
R: Ci vorrà tempo, ci vorranno anni. Bene le leggi. Le leggi vanno benissimo, sono importantissime, ma vengono dopo. Noi dobbiamo arrivare prima. Quando parlavo del bambino che vuole toccare a tutti i costi la sua compagna, è da lì che bisogna subito staccare la catena e parlare di consenso. Non puoi violare il consenso, il rispetto, lo spazio della tua compagna, perché è un suo diritto. Parliamo di che cos’è un diritto e parliamo di che quello che ha fatto è sbagliato. Da subito. Altrimenti diventa normale, come il filmare una violenza di gruppo.
D: Cosa pensa della nomina di Amadori, come coordinatore delle linee guida per l’introduzione dell’educazione affettiva a scuola?
R: È gravissimo. È gravissimo quando la politica fa queste scelte. Non si scherza su questo. Non metto assolutamente in discussione il percorso professionale. Però, una persona amica del ministro, è autore di un libro negazionista che di fatto colpevolizza le donne, di fatto le ritiene cattive e se c’è stata una violenza, se la sono andata a cercare – qui sintetizzo al massimo. Uno che scrive che le donne sanno essere più cattive di quanto pensiamo fa dubitare.
Magari è un bravissimo professionista, però non va bene. Ci vogliono persone competenti, ma soprattutto neutre e imparziali, che abbiano una linea volta all’ascolto degli insegnanti, degli studenti, delle studentesse. Secondo me le leggi non nascono dall’improvvisazione, ma nascono dall’ascolto e poi si concretizzano. Non devono essere subìte da persone che scrivono che le donne sono cattive perché vogliono dominare gli uomini. Così non risolviamo nulla e a pagarne le conseguenze sono le nostre figlie, i nostri figli e la società tutta. E rimane una società patologica in cui la violenza è dentro di noi.
D: Voi chiederete le dimissioni di Amadori?
R: Noi abbiamo chiesto un’informativa urgente proprio per affrontare la questione con il dialogo nelle sedi opportune, che è l’aula del Parlamento, e vogliamo avere delle risposte. Perché non si possono fare queste scelte improvvisate su persone che hanno già un orientamento espresso in libri sui quali si dovrà discutere. Vogliamo capire i criteri della scelta. Perché lui?