Chia è stata oggetto di forti polemiche sin dal suo avvento. Il progetto si propone come la soluzione ai problemi ambientali collegati al mining Proof-of-Work, quello su cui si fonda Bitcoin. Problemi che hanno spinto anche una parte del mondo politico a prenderne atto, considerato lo stato di stress del pianeta.
In effetti, il fatto di proporre un modello estrattivo basato non più sui complessi calcoli matematici, ma sul meccanismo di consenso Proof of Space and Time, fondato sullo spazio libero all’interno dei dischi rigidi sembra un notevole passo in avanti in termini ambientali. Il problema fatto uscire dalla porta, però, tende a rientrare dalla finestra, sotto altre modalità egualmente pericolose.
Chia: di cosa si tratta
Chia è una criptovaluta che si propone di fungere da strumento di pagamento, come il Bitcoin. La vera diversità con l’icona inventata da Satoshi Nakamoto è da riscontrare nel modo in cui si propone di elaborare le transazioni.
Com’è noto, infatti, BTC si appoggia al Proof-of-Work, un meccanismo di consenso che prevede l’impiego di dispositivi molto potenti, costosi e, soprattutto, energivori. Ne conseguono livelli di consumo effettivamente molto elevati da parte della sua rete, pari a quelli di un Paese come la Svizzera.
La questione relativa ai consumi di Bitcoin è ormai deflagrata da tempo, con sostenitori e detrattori pronti a sfidarsi a suon di anatemi. Resta però la sostanza di consumi in effetti molto elevati, tali da essere visti come un vero attentato all’ambiente. Tanto da aver spinto il governo svedese a chiedere in sede di discussione sul MiCA (Markets in Crypto Assets), il nuovo regolamento sugli asset digitali in ambito UE, la sua messa al bando.
Chia si propone di dare una risposta in tal senso, proponendo un nuovo meccanismo. Al tempo stesso, però, la sua risposta non piace a tutti. Andiamo a vedere perché.
Chia: il meccanismo Proof of Space and Time
Chia propone come algoritmo di consenso il Proof of Space and Time. Il suo funzionamento non necessita di dispositivi potenti e costosi, secondo l’azienda che si muove dietro al progetto. La risorsa utilizzata in questo genere di mining è lo spazio libero sui dischi rigidi di coloro che si uniscono alla blockchain.
Ma è vero che non servono macchinari potenti? Chi ha iniziato a partecipare con dispositivi leggeri afferma che è praticamente impossibile riuscire ad ottenere risultati prima di un certo numero di anni.
Questo dato di fatto ha quindi spinto molte persone interessate a ritagliarsi una fonte di entrata aggiuntiva acquistando macchinari al contrario potenti. La produzione di Chia, però, è estremamente dispendiosa in termini di logorio. Stando ai rapporti provenienti dalla Cina, la durata di un disco di rigido da 512 GB utilizzato all’uopo ne riduce la durata a soli 40 giorni, contro i dieci anni cui si pensava originariamente.
Ciò vuol dire che si consuma un gran numero di macchinari che dovranno essere smaltiti. Senza contare che in conseguenza della sempre più forte richiesta di macchinari per la Proof of Space and Time, quelli da 12 terabyte sono aumentati in Cina del 59%.
Le prospettive future
Dietro a Chia si muove un nome di grande rilievo. Stiamo parlando di Bram Cohen, l’inventore di BitTorrent, l’ormai celebre piattaforma di file-sharing. Proprio lui nel 2017 ha deciso di aprire la strada delle criptovalute a forte orientamento ecologico.
Un modo di proporsi che ha naturalmente destato grande curiosità, in un momento in cui il movimento Fridays for Future stava muovendo i primi passi. Se l’afflato ambientalista di Chia è effettivamente tutto da verificare, alla luce dei dati che abbiamo ricordato, al tempo stesso la criptovaluta ha potuto godere di grande visibilità mediatica sin dal suo avvento.
Resta però da capire se questa connotazione ideologica sarà in grado di pagare nell’immediato futuro, quando i trader torneranno a guardare con grande interesse al settore, consentendogli di approdare ad una nuova era di crescita, dopo la gelata dell’ultimo biennio.