È diventata definitiva la condanna a 16 anni di carcere per il figlio 15enne di Valentina Giunta, uccisa a coltellate nella sua abitazione del quartiere San Cristoforo, a Catania, il 25 luglio 2022. La Corte di Cassazione ha infatti giudicato “inammissibile” il ricorso presentato dai legali del giovane dopo la sentenza emanata in Appello.

Definitiva la condanna a 16 anni per il figlio 15enne di Valentina Giunta, uccisa a Catania nel 2022

Il minorenne era accusato di omicidio volontario aggravato per aver accoltellato la madre 32enne nell’abitazione di famiglia a Catania. Era il 25 luglio del 2022. Il 15enne, molto legato al padre – detenuto per furto d’auto e tentato omicidio -, aveva mal sopportato la decisione della donna di allontanarsi dal marito, portando con sé il figlio minore.

Al culmine di una lite, l’ennesima, scoppiata durante la preparazione dei pacchi per il trasloco, l’aveva quindi uccisa con un coltello preso dalla casa dei nonni paterni, dove da un po’ viveva per sua scelta. A trovare il corpo della donna senza vita era stata la sorella, che Giunta, prima di morire, aveva provato a chiamare per chiedere aiuto.

Una volta fermato, il giorno dopo il delitto, il figlio aveva subito confessato l’assassinio davanti al giudice per le indagini preliminari. Sembra che sui social pubblicasse continuamente post e video in cui mostrava profonda ammirazione nei confronti del padre. “Ti amo leone, sei la mia vita, a presto fuori”, recita uno dei tanti.

Lo scorso 26 maggio la Corte d’Assise d’Appello di Catania lo aveva condannato a 16 anni di reclusione dopo la sentenza emessa in primo grado a gennaio. La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dai suoi legali, ha ora reso la condanna definitiva.

Diversi in Italia i casi di ragazzi finiti in carcere per l’omicidio di almeno uno dei genitori

Ci sono casi simili saliti alla ribalta delle cronache e mai dimenticati, come quello di Pietro Maso, che nel 1991 a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, con l’aiuto di alcuni amici uccise la madre e il padre, Antonio e Mariarosa Tessari, per incassarne l’eredità.

Oppure quello di Erika Di Nardo, che a 16 anni, insieme al fidanzatino di 17, Omar Favaro, tolse la vita alla madre Susanna Cassini e al fratello di 11 anni, Gianluca De Nardo, senza un motivo preciso.

O, ancora, quello di Ferdinando Carretta, di cui di recente si era tornati a parlare: nel 1989, a 27 anni, sterminò la sua intera famiglia, uccidendo i genitori e il fratello e depistando le indagini, facendo credere che si fossero recati all’estero tutti insieme, per costruirsi una vita migliore.

Ma ci sono anche casi meno noti, più recenti, come quello che nel 2017 sconvolse la cittadina di Codigoro, nel Ferrarese. Era l’inizio dell’anno. Riccardo, di 16 anni, uccise il padre e la madre, Salvatore Vincelli e Nunzia Di Gianni, con un’ascia, lasciandoli inermi sul letto della loro camera e dando l’allarme, dicendo di averli trovati morti dopo essere rincasato.

E poi quello di Valentina Giunta, che a Catania aveva lasciato tutti sconvolti. Si tratta solo di alcuni dei tanti episodi in cui ragazzi all’apparenza tranquilli hanno riversato la loro ira contro i genitori, finendo in carcere anche per parecchi anni.

Omicidi commessi per motivi diversi, che hanno come comune denominatore una rabbia – sopita – nei confronti dei propri familiari, “colpevoli”, agli occhi di chi uccide, di imperdonabili errori.

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