Xi Jinping il terzo uomo più potente nella storia della Cina dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping. Xi Jinping il traghettatore, colui il quale cioè dopo i (chiamiamoli) burrascosi inizi prova ancora a portare il Paese in una nuova dimensione e per certi versi inedita. Xi Jinping il figlio di un apparato ben noto, e che da quella struttura comunque si affranca. Il settantenne presidente della Repubblica popolare dal 2013 e segretario del partito comunista cinese dal 2012 resta figura centrale nell’assetto geopolitico odierno. E negli ultimi giorni ha consegnato una foto importante, quella dell’incontro tra sorrisi e strette di mano con l’omologo statunitense Joe Biden che un attento osservatore come il consigliere redazione di Limes per l’area dell’Indo-Pacifico Giorgio Cuscito invita comunque a prendere con le molle. Del resto, lo stesso Biden, a scanso di equivoci, appena il presidente cinese è salito sull’aereo è tornato a definire quest’ultimo “un dittatore”. Cuscito è soprattutto l’autore di “Xi Jinping – Come la Cina sogna di tornare impero” (Piemme) che racconta l’ascesa del leader e prova a predire i prossimi passi di Pechino.
Come sta cambiando e come cambierà la Cina con Xi Jinping al comando, lo racconta nel suo libro Giorgio Cuscito
Domanda marzulliana per partire: quanto sappiamo oggi di quel Paese e quanto ci viene ancora tenuto nascosto?
“Sicuramente ne sappiamo più di prima, perché le fonti da consultare si sono moltiplicate nel corso degli anni, anche per stessa volontà di Pechino, e nel tentativo di trasmettere una certa immagine al resto del mondo commisurata al progetto geopolitico che si pongono. Ossia quello di tornare a essere una potenza di primo piano, ma per farlo deve anche sviluppare un adeguato soft power. È possibile approcciarsi alla Cina, ma bisogna anche saper leggere tra le righe”.
Un esempio?
“Nell’incontro con Biden, Xi Jinping ha detto che il mondo è abbastanza grande per ospitare sia la Cina che gli Stati Uniti”.
Rassicurante, no?
“Certo, ma secondo me è anche un modo per chiedere a Washington di essere riconosciuti come una potenza di pari livello. Il presidente ha utilizzato una formula non nuova. Prima diceva che il Pacifico era grande abbastanza per entrambi i Paesi. Tutto questo è significativo di quanto stia cercando il consenso, pur consapevole che gli Stati Uniti siano la prima potenza al mondo. Rispetto all’America, la Cina ha sempre avuto questo rapporto altalenante. Lo vede come un punto di riferimento, da cui è stata però spesso delusa”.
Resta uno Xi Jinping assai attivo in politica estera.
“La Via della Seta è stato un decisivo cambio di passo che ha rappresentato la fine dell’atteggiamento di basso profilo, improntato esclusivamente sulla crescita economica, che era portato avanti da Deng Xiaoping. Archiviata la pandemia, Xi ha ricominciato a viaggiare all’estero e a proporre, prima, il piano per risolvere la crisi ucraina (che i cinesi non chiamano ufficialmente “guerra” per non contraddire l’alleato russo), poi, l’estate scorsa, il piano di pace per il Medio Oriente. Un progetto che però non ha avuto molto successo, come dimostra la situazione attuale. Infine ha contribuito al disgelo tra Iran e Arabia Saudia. Tutti atti per trasmettere positività e scalfire il soft power americano”.
Ma “la crisi o la guerra” in Ucraina quanto sta rovinando dei piani cinesi?
“Ha danneggiato i piani della Cina che, venti giorni prima dell’attacco, aveva firmato un partenariato strategico con la Russia con cui venivano promesse opzioni praticamente illimitate di sviluppo. Non solo: lo scoppio della guerra ha spinto molti a pensare che Pechino avrebbe seguito l’esempio di Mosca a Taiwan, ma ciò non è successo perché i contesti restano molto diversi. Tuttavia, i rapporti tra USA e Taipei si sono rafforzati. In un vertice, Xi Jinping ha mostrato il proprio disappunto a Putin”.
“Dal recente vertice con Biden, non c’è da aspettarsi un’interruzione nella rotta di collisione tra i due Paesi”
Quanto al futuro nei rapporti internazionali?
“Anche alla luce del recente vertice con Biden, non c’è da aspettarsi un’interruzione nella rotta di collisione tra Washington e Pechino. I contrasti non dipendono infatti da questioni contingenti, piuttosto da una conflittualità di lungo periodo legata al predominio nel campo militare e tecnologico; con un nodo fondamentale nell’ambito navale e marittimo. Cina e Stati Uniti non vogliono rinunciare al dossier Taiwan perché è determinante per stabilire se Pechino può diventare una potenza marittima e quindi contestare il primato americano. È pur vero che parallelamente dovrà affrontare problemi interni in campo economico e sociale che vanno risolti e non vuole interrompere i rapporti tecnologici con l’Occidente perché la sua filiera produttiva dipende da software e hardware straniero“.
E in tutto questo l’Italia?
“Come racconto nel libro, tale dinamica condizionerà anche noi. Dopo aver aderito alla Via della Seta nel 2019, entrando in un progetto in contrasto con il partner americano, l’Italia la lascerà con tutta probabilità nel 2024. La Cina certo non sarà contenta, così come non lo sarà del rafforzamento dei rapporti tra Italia e Giappone, Paese contro cui Pechino ha pur sempre combattuto due guerre”.