Qual è la giusta pena per un omicidio volontario? Sulla base di cosa bisognerebbe riconoscerla a chi ha ucciso? C’è un limite minimo di anni che un assassino deve trascorrere in carcere, dal momento in cui viene giudicato colpevole? L’articolo 575 del Codice di procedura penale italiano recita che “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.
Anni che, sulla carta, dovrebbero diventare tra i ventiquattro e i trenta o più (l’ergastolo) nei casi più gravi, a seconda delle modalità usate per uccidere. I fatti purtroppo dicono altro: in tanti casi chi viene condannato esce dal carcere molto prima di quanto previsto. Spesso si tratta di uomini che hanno ucciso donne.
Casi di uomini condannati per femminicidi usciti prima del fine pena in Italia
Ha fatto scalpore, nelle scorse settimane, la notizia della scarcerazione di Dimitri Fricano, che nel giugno del 2017 uccise con 37 coltellate la fidanzata Erika Preti mentre erano in vacanza in Sardegna.
Una decisione presa dai giudici sulla base di una richiesta avanzata dai legali che difendono l’uomo, oggi 34enne, che si erano detti preoccupati per le sue condizioni di salute, visto che in carcere avrebbe raggiunto i 200 kg di peso, arrivando a fumare oltre 100 sigarette al giorno.
Attualmente è tornato dalla sua famiglia, agli arresti domiciliari. Avrebbe dovuto scontare 30 anni. È uscito dopo sei. Il suo non è un caso isolato. Secondo l’Istat la media della pena scontata da chi viene condannato per omicidio volontario in Italia è di circa 12,4 anni, a fronte di quella prevista giuridicamente.
Alcuni prima di tornare completamente liberi passano per la semilibertà. Alcuni escono prima perché come Fricano hanno problemi “incompatibili con la detenzione” oppure per buona condotta, per essersi comportati bene.
Il caso Salvatore Parolisi
Succede oggi, nel 2023, ma succedeva già in passato, quando le pene erano anche meno care perché chi era imputato per omicidio e rischiava l’ergastolo per legge aveva comunque il diritto di accedere al rito abbreviato, che consente di ottenere uno sconto di pena (cosa che oggi non è più possibile).
Si pensi a Salvatore Parolisi, condannato a soli 20 anni per aver ucciso la moglie Melania Rea a pochi metri di distanza dalla figlia di appena 18 mesi, lasciata a dormire in macchina mentre lui si scagliava con violenza contro la mamma in un boschetto della provincia di Teramo.
Poi avrebbe tentato di depistare le indagini. Fu incastrato da diverse prove, ma continua a professarsi innocente. Negli scorsi mesi gli erano stati concessi dei permessi premio.
Uscendo dal carcere aveva rilasciato un’intervista shock alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, facendo intendere di non aver mai elaborato ciò che secondo i giudici ha fatto “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Né di essersi pentito.
La famiglia della vittima aveva chiesto per questo al Tribunale di Sorveglianza di tornare sui suoi passi, come in effetti è stato. I permessi gli sono stati revocati, ma tra otto anni o forse meno Parolisi tornerà comunque libero.
La vicenda di Alberto Stasi
Come tornerà libero Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, consumatosi a Garlasco nell’agosto del 2007. Il 40enne ha il fine pena nel 2030, ma per buona condotta, con lo scomputo di 45 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi, potrà uscire già nel 2028. Con la possibilità di chiedere l’affidamento in prova tra due anni, nel 2025.
Da mesi gli viene concesso di andare a lavorare fuori dal carcere in cui dovrebbe essere detenuto. Ha scontato appena sette anni. Così poco vale una vita umana? Così poco vale la vita di una donna? È ciò che viene da chiedersi, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti di cronaca.