Serena Mollicone avrebbe potuto salvarsi, se solo fosse stata aiutata: è questa la conclusione a cui sembra essere arrivata l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, chiamata ad esprimersi sull’omicidio della 18enne di Arce, consumatosi il primo giugno del 2001 in Ciociaria. Per la sua morte sono attualmente imputate davanti alla Corte d’Appello del Tribunale di Roma cinque persone che in primo grado erano state assolte.
Omicidio Serena Mollicone, la relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo
Sarebbe stata soffocata, morendo lentamente, Serena Mollicone, la studentessa di Arce scomparsa il 1 giugno del 2001 e trovata morta due giorni dopo, il 3 giugno, in località Cupa a Fontana Liri.
È la conclusione a cui sembra essere arrivata Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa del Labanof di Milano incaricata dai giudici della Corte d’Appello di Roma di esprimersi sul decesso della 18enne dopo la riapertura del dibattimento.
Secondo la consulente, nota per aver lavorato ad alcuni dei casi di cronaca più importanti del nostro Paese, la giovane, il cui corpo è stato analizzato dopo essere stato riesumato, nel 2016,
aveva un’edema celebrale, ma senza sanguinamento. Non la tipica emorragia.
Significa che, con tutta probabilità, non è morta sul colpo, ma dopo ore di agonia: se qualcuno l’avesse soccorsa, avrebbe potuto salvarsi. Per la sua morte sono imputate, a vario titolo, cinque persone: l’ex comandante della polizia di Arce Franco Mottola, il figlio Marco Mottola, la moglie Anna Maria e i due carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale.
Il processo d’Appello a carico dei cinque imputati
Al termine del processo di primo grado la pubblica accusa aveva chiesto per i cinque imputati pene pesantissime: 30 anni per Franco Mottola, 24 e 21 anni per il figlio e la moglie, 15 anni per Quatrale e 4 per Suprano.
I giudici della Corte d’Assise li avevano però assolti. Il motivo? La presunta mancata sussistenza di indizi gravi a loro carico. Una motivazione che aveva lasciato sgomente le parti civili, che da anni chiedono che sul caso sia fatta giustizia.
Il processo d’Appello ha preso il via lo scorso 26 ottobre e punta a vagliare di nuovo le posizioni dei sospettati, anche attraverso l’audizione di oltre quaranta testimoni. A differenza di quanto sostiene la difesa, secondo l’accusa ci sarebbero loro dietro la morte di Mollicone e quella di Santino Tuzi, il brigadiere morto suicida che per primo aveva indicato la presenza della giovane all’interno della caserma di Arce, puntando il dito – indirettamente – contro la famiglia Mottola.
La ricostruzione del delitto e del movente
La tesi è che Marco Mottola, suo amico d’infanzia, l’abbia colpita, spingendola contro lo spigolo di una porta della foresteria della caserma – dove viveva – al culmine di una lite e che poi i suoi genitori l’abbiano aiutato ad occultarne il corpo, coprendo ciò che aveva fatto.
Stando alla relazione di Cattaneo, Mollicone non era ancora morta quando fu caricata a bordo di un’auto e abbandonata in un bosco, con del nastro adesivo alla bocca e un sacchetto di plastica stretto attorno al collo. Sarebbe deceduta in un arco temporale di molte ore, tra le 13.30 e le 20 di quel giorno.
Il movente è incerto. Forse la 18enne aveva scoperto che Mottola era finito in un brutto giro e voleva parlargliene per aiutarlo ad uscirne. Oppure voleva denunciarlo: una mossa che ai Mottola sarebbe costata molto, anche in termini di visibilità. Loro fin dall’inizio si professano innocenti.
Parlavamo della vicenda e di quella del brigadiere morto suicida dopo aver rivelato dettagli utilissimi alle indagini in questo articolo: I due gialli di Arce: chi ha ucciso Serena Mollicone e Santino Tuzi?. Questo invece il commento di Maria Tuzi dopo la sentenza di assoluzione: “Non ci fermiamo”.