Qual è il profilo psicologico di Filippo Turetta? Dopo l’arresto dell’ex ragazzo di Giulia Cecchettin, Tag24 ha intervistato Laura Volpini, psicologa giuridica e forense, esperta di criminologia e psicoterapeuta, per delineare il più possibile un quadro psicologico del ragazzo. Ne emergono diversi dettagli culturali e sociali, che avrebbero contribuito all’omicidio di Giulia, l’ennesimo atroce caso di femminicidio in Italia.

La psicologa si sofferma anche sull’educazione dei ragazzi e ci spiega il ruolo della famiglia  – come quella di Filippo Turetta – nella prevenzione della violenza. 

Filippo Turetta, il profilo psicologico

Filippo Turetta non si è suicidato: le forze dell’ordine l’hanno arrestato in Germania il 19 novembre ed era ancora a bordo della sua Fiat Punto nera. E’ finita la fuga dopo otto giorni di latitanza in cui il ragazzo si è reso irrintracciabile. 

Tutti i dettagli emersi sino ad ora, compreso il video dell’aggressione rintracciato dagli inquirenti, ci portano a degli interrogativi riguardo la psicologia dell’ex ragazzo di Giulia.

Sul tema, per Tag24, è intervenuta l’esperta Laura Volpini.

D: Alcuni hanno definito Filippo Turetta un narcisista. Quale potrebbe essere il profilo psicologico di questo ragazzo secondo lei?

R: Abbiamo pochissime informazioni su chi sia questo ragazzo. Fare delle generalizzazioni su ipotesi di personalità non ci dà molto aiuto. Non esiste una correlazione deterministica fra personalità e violenza. Si possono poi definire diversi tipi di narcisismo. I narcisisti definiti maligni possono tendere ad essere più aggressivi, ma ci deve essere comunque una diagnosi clinica in tal senso e non mi pare che questo ragazzo, da quello che sappiano oggi, fosse stato seguito da un centro di salute mentale o da uno psichiatra.

Dare un’etichetta di personalità estendendo l’idea che quel tipo di personalità sia criminale è comunque non scientifico.

L’aspetto che possiamo dire a livello generale , non avendo informazioni sul caso specifico è che; dato che siamo all’83esima vittima dall’inizio dell’anno,  il femminicidio è un fenomeno socioculturale su cui dobbiamo  incidere in modo urgente.

Ci sono aspetti di retaggi culturali legati anche al rapporto uomo-donna in chiave possessiva che evidentemente permangono, nonostante siamo in una società apparentemente evoluta, in cui peraltro i diritti delle donne si sono sviluppati a partire dagli anni ’70 in poi. Ma evidentemente all’interno dei rapporti privati ed intimi dei retaggi culturali a volte ancora prevalgono e comunque certamente sono uno degli aspetti del femminicidio. 

Questa idea antica della donna che deve essere sottomessa, è splendidamente rappresentata nel  film di Paola Cortellesi, che ci racconta bene la condizione delle donne degli anni ’50.

Oggi abbiamo da una parte un problema di costruzione delle relazioni sociali che si sviluppano prevalentemente attraverso la rete. Abbiamo una socializzazione alle relazioni interpersonali prevalentemente virtuale in cui le conseguenze di azioni violente e aggressive non sono visibili immediatamente alla persona che le commette. Sappiamo che in questo tipo di socializzazione del mondo virtuale i ragazzi fanno riferimento dalla musica, ai vari social come YouTube o TikTok, a concetti o dimensioni di disvalore culturale a volte anche molto violenti e molto svalutanti della donna.

Faccio riferimento ad alcuni trapper che spopolano, che non sono conosciuti dal grande pubblico, ma che sono conosciuti da migliaia di giovani. Mi riferisco anche alle sfide pericolose, dove il rischio senza calcolo, non sostenibile, viene assorto come un valore di riferimento.

Siamo di fronte a forme di depersonalizzazione anche di de umanizzazione dei rapporti, in cui non c’è risonanza affettiva e gli esseri umani, le donne, vengono reificati; diventano oggetti. Tutto questo può precipitare in situazioni critiche nell’ambito di relazioni interpersonali.

Perché Filippo avrebbe ucciso Giulia? Aspetti sociali del passato e del presente

D: Quali sono gli elementi che potrebbero aver portato a questo omicidio?

R: Ci sono retaggi culturali del passato e aspetti sociali nuovi che sono quelli di una socializzazione depersonalizzata e deumanizzata con un deficit emotivo e di empatia che si fa attraverso quella una massiccia socializzazione in rete, virtuale,  i cui idoli spesso inneggiano alla violenza e alla svalutazione della donna, all’esaltazione delle droghe e delle sostanze stupefacenti.

I genitori di Filippo Turetta avrebbero colpe?

D: In molti in rete hanno dato la colpa ai genitori di Filippo. La famiglia quando può aver inciso sulla psicologia del ragazzo, che colpe avrebbe?

R: La famiglia di Giulia si è unita anche al dolore della famiglia di Turetta, perché sono due tragedie familiari. Mi fa capire questo che anche la famiglia di lui si è trovata disarmata di fronte a questa abnormità commessa dal figlio e alle modalità di esecuzione dell’omicidio. L’ha colpita con venti coltellate, da quanto sta emergendo nelle ultime ore, e poi gettata in un canalone. Se si era portato dietro i coltelli, non può essere  certo considerato un delitto d’impeto, ma un delitto premeditato con l’aggravante possibile della crudeltà.

Le famiglie sono una parte della socializzazione dei ragazzi, perché poi gran parte avviene in altri contesti: nella scuola, nel gruppo dei pari, nel tempo libero dove però, abbiamo visto, c’è una dimensione virtuale molto forte.

Alle famiglie il messaggio che si può dare è questo: sin dalla tenera età dei bambini, bisogna far vivere i momenti cruciali della vita quotidiana, come la colazione o il pranzo e la cena, l’addormentamento, senza introdurre gli smartphone con i videocartoni o i videogiochi.

Già in tenera età sappiamo che queste “armi” sono introdotte dalle famiglie, non consapevoli dei danni che si possono fare, perché abbiamo dei bambini dai 0 ai 3 anni che, invece di assaporare il cibo che mangiano o osservare la madre che interagisce col padre, acquisire punti di riferimento e di interazione, vivere e sentire i vissuti dei loro familiari, sono ipnotizzati davanti ad uno smartphone o un tablet.

Le famiglie non vanno demonizzate, vanno “educate” sin dalla scuola materna dei loro figli, ad un nuovo alfabeto educativo.

Devo fare una differenza con la televisione accesa. Quello è uno strumento che tutti vedono, le cui immagini si possono commentare condividere insieme. Oggi invece in famiglia, se ci sono tre figli, ognuno ha il suo tablet davanti agli occhi durante i pasti e non solo; quindi, nemmeno tra i bambini c’è un minimo di condivisione e di interazione in quel momento. Si crescono allora dei bambini sottosviluppati da un punto di vista emotivo, di empatia, di identificazione con i vissuti dell’altro.

Le famiglie non vanno demonizzate, vanno aiutate dall’inizio, da quando il bambino è in culla. Non vanno messi davanti agli smartphone per farli smettere di piangere.

Cosa fare quando è troppo tardi?

D: Ma quando siamo davanti ad un adolescente o un 22enne come Filippo, perciò quando è tardi e le famiglie non capiscono o non entrano nell’intimità dei ragazzi, come bisogna agire?

R: Quando i figli sono più grandi, i genitori dovrebbero attivare quello che si chiama il “monitoring”.

Non è solo un controllo, è soprattutto una comunicazione aperta che non è giudicante, e non troppo colpevolizzante, che consente al ragazzo di raccontare anche le esperienze più trasgressive.

Questo permette al genitore di dare dei messaggi che i ragazzi altrimenti avrebbero solo attraverso i loro coetanei o attraverso la rete. Questo è molto importante perché noi da adulti ci troviamo ad avere dei ragazzi che hanno degli idoli a noi sconosciuti.

Fino agli anni ’90, invece, i genitori potevano non essere d’accordo, ma sapevano che il figlio amava per esempio, i Rolling Stones. Potevano ritenerli un cattivo esempio di comportamenti e ne parlavano con i figli si confrontavano o scontravano. Oggi nel silenzio delle loro stanze i ragazzi vengono alfabetizzati alla violenza a cui si espongono con un click, assolutamente all’oscuro dei propri familiari.

Nei momenti di convivenza con i loro figli, devono iniziare ad instaurare una comunicazione precoce e aperta con loro, senza dare l’impressione al figlio di essere troppo giudicanti o sanzionatori, altrimenti poi i ragazzi chiudono la comunicazione.

Se c’è un figlio che non parla molto, irascibile, può essere molto utile rivolgersi ad uno psicoterapeuta o ad uno psicologo. Perché poi basta poco per invertire delle rotte, sciogliere dei nodi per attivare quel senso di empatia ed emotività che,  fa paura ai ragazzi, che non sono avvezzi alle emozioni, soprattutto quelle negative, le rifiutano, non le accettano, non le sanno gestire e che coprono con l’aggressività. Dobbiamo aiutare i ragazzi ad essere più consapevoli di quello che a loro succede.

La psicologa conclude con un’amara riflessione, relativa al futuro del ragazzo, qualora la sua colpevolezza fosse confermata:

“Perché ora, questo ragazzo, Filippo, oltre aver distrutto una vita, due famiglie, ha distrutto anche se stesso. Se questo ragazzo un briciolo di umanità ce l’ha, si renderà conto nel tempo, non subito, che probabilmente avrebbe potuto fare mille altre cose, piuttosto che fare quello che ha fatto nei confronti di Giulia”.