La decisione di Elly Schlein di non accettare il confronto ad ‘Atreju’, la festa di Fratelli d’Italia, è stata accolta dalla premier Meloni con una battuta nella quale ha ricordato come Fausto Bertinotti, nel 2006, non ebbe il “timore” di partecipare alla manifestazione. “Evidentemente le cose sono cambiate“, ha commentato la Meloni. Se lo siano davvero e in che modo, TAG24 lo ha chiesto proprio all’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti.
Dal ‘no’ di Schlein ad Atreju, allo sciopero precettato, Bertinotti: “Posizione grave del governo Meloni”
Fausto Bertinotti è lontano dalla politica attiva da molti anni ormai, ma la sua voce e il suo punto di vista restano preziosi, specialmente in una fase storica come quella attuale.
TAG24 lo ha raggiunto telefonicamente dopo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha tirato in ballo in merito al rifiuto della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein di partecipare a un confronto ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia.
Bertinotti preferisce non commentare la questione, limitandosi a ricordare che “io sono andato ad Atreju, quello che dovevo fare l’ho fatto, convintamente. Ognuno si comporta secondo la propria sensibilità e attitudine“.
L’anno era il 2006, e l’allora Presidente della Camera dei Deputati si confrontò con il leader della fu Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini.
L’ex segretario di Rifondazione Comunista ha molto da dire, invece, sull’attuale situazione politica, segnata dal duro scontro tra governo e sindacati sullo sciopero del 17 novembre, risolto con una procedura di precettazione da parte del ministro Matteo Salvini, duramente contestata dai sindacati e che ne ha limitato lo svolgimento.
Per Bertinotti, “la posizione del governo è particolarmente grave e la misura adottata davvero odiosa, perché – spiega – non interviene in una fase convulsa di scioperi e lotte, ma in quella che è una lunga, purtroppo, tregua sindacale imposta da una politica sia economica sia culturale che in Italia ha ridotto il conflitto sociale a una condizione minima, diversamente ad altri paesi europei“.
Una fase molto diversa rispetto a quella in cui, da sindacalista, difese in prima persona i diritti dei lavoratori. Prendendo a prestito una definizione del sociologo Luciano Gallino, Bertinotti la indica come segnata dal “rovesciamento del conflitto di classe“.
Oggi, infatti, “la situazione dei lavoratori è totalmente rovesciata. Negli anni Settanta, avevano un potere molto forte e questo comportava una grandissima capacità di lotta. Basti guardare – dice – le statistiche sul numero degli scioperi in un qualsiasi anno degli anni Settanta: non c’era mese che non ci fossero mobilitazioni, scioperi generali, occupazioni di fabbriche“.
Uno scontro la cui posta in gioco concreta sono i salari dei lavoratori italiani, “i più bassi d’Europa“ ricorda ancora Bertinotti, e la difesa dei loro diritti “manomessi in tutti questi anni“.
Bertinotti: “Deriva autoritaria? Più che un rischio. Governo mette in discussione ordinamento costituzionale”
La durissima battaglia su, è bene ricordarlo, un diritto costituzionalmente garantito come quello allo sciopero, è l’indicazione di un intento più profondo da parte del governo, che Bertinotti denuncia esplicitamente.
“A mio avviso – dichiara l’ex Presidente della Camera – tutto questo fa parte di una scelta politica del governo di mettere in discussione l’ordinamento costituzionale nato dall’antifascismo“.
Un’azione che si muove seguendo due direttive: “Da un lato, con la riforma costituzionale autoritaria che si paventa [il premierato n.d.r.], e dall’altro, con l’attacco al diritto di sciopero, cioè al fondamento dell’Articolo 1 della Costituzione, che dice che la Repubblica è fondata sul lavoro“.
Infine, alla domanda se tutto ciò lasci intravedere il rischio di una deriva autoritaria, Bertinotti risponde nettamente che “è più di un semplice rischio. Siamo di fronte a una strategia che tende a mettersi alle spalle l’organizzazione democratica nata dalla Costituzione repubblicana, per dirigersi verso una democrazia di natura autoritaria“.