Quando si parla di episodi di violenza contro le donne generalmente il primo pensiero va alle vittime che subiscono i maltrattamenti. Ma oltre allo sconto dell’eventuale pena, qual è il destino degli aggressori? Cosa si può fare in concreto per reinserirli all’interno del tessuto sociale?
Esistono dei luoghi in cui gli uomini che si macchiano di reati contro le donne possono intraprendere dei percorsi psico-educativi per acquisire consapevolezza dell’entità dei gesti che hanno compiuto e per cambiare le proprie abitudini e la propria vita.
Per parlare della realtà che riguarda gli uomini maltrattanti, di quello che accade loro dopo aver commesso atti di violenza, Tag24 ha intervistato Alessandra Pauncz, la Presidente del Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti Onlus di Firenze. Si tratta di un progetto particolare, fondato nel 2009, il primo sportello in Italia pensato per gli uomini maltrattanti. La Pauncz è inoltre la presidente della rete nazionale dei centri ReLive (Relazioni Libere dalle violenze) e direttrice esecutiva della rete europea Wwp En (Work With Perpetrators).
Centro di ascolto per uomini maltrattanti: lo scopo dell’associazione e le modalità di accesso
Per capire qual è lo scopo che anima la realtà del Centro di ascolto per uomini maltrattanti e avere maggiori informazioni sulle modalità di accesso, Tag 24 ha intervistato la Presidente della struttura di Firenze, Alessandra Pauncz.
D: Cosa si fa all’interno di un Centro di ascolto per uomini maltrattanti? Qual è il suo scopo?
R: Lo scopo principale del Centro è quello di lavorare con gli uomini autori di violenza nelle relazioni di intimità. La centralità dell’intervento è sempre sulla sicurezza della donna, però la nostra presa in carico riguarda gli uomini che agiscono con violenza.
D: Qual è il profilo più comune di un uomo maltrattante che si rivolge al vostro Centro? Come funziona l’accesso? L’ingresso è deciso dalla autorità o avviene in base ad una scelta volontaria?
R: Noi abbiamo iniziato nel 2009 e da quell’anno fino al 2020 abbiamo avuto prevalentemente accessi volontari, per un numero di circa 50 uomini all’anno. Erano profili di uomini che provenivano da categorie trasversali, di tutte le classi sociali, di tutte le età. Questo accadeva fino al 2020.
Poi è entrato in vigore il Codice Rosso (ndr. la legge 19 luglio 2019, n. 69 che rafforza la tutela le vittime di violenza, atti persecutori e maltrattamenti) ed è cambiata la normativa: ciò ha comportato il fatto che nel momento in cui c’è una condanna o una sentenza di patteggiamento che viene concordata con una pena inferiore ai 3 anni, cioè quando la persona ha diritto alla sospensione della pena, nel caso in cui abbia compiuto dei reati contro le donne, è obbligato a frequentare il percorso al Centro.
Adesso abbiamo circa 180 uomini all’anno, sono più che triplicati, di questi il 60% di loro è obbligato a frequentare il centro.
D: I fatti di cronaca sui giornali parlano chiaro, gli episodi di volenze contro le donne non si fermano. C’è stato un aumento del numero di persone che hanno scelto/sono state obbligate a rivolgersi al Centro?
R: Le donne oggi denunciano di più, credo che i procedimenti più spesso portano a delle condanne. Perché magari le donne denunciavano anche prima ma i processi venivano archiviati; è cambiata la sensibilità nei confronti del tema e questo ha portato ad un aumento dei processi e delle condanne. Processi e condanne ovviamente sono un fattore diverso rispetto al dato puro degli episodi di violenza che riportano le statistiche, come l’Istat che ci dice che il 14% delle donne in Italia ha subìto violenza dal partner o dall’ex compagno.
Chi sono gli uomini maltrattanti che si rivolgono al Centro di ascolto?
La Presidente del Centro di ascolto ha raccontato quali sono i profili degli uomini che si rivolgono alla struttura, illustrando anche i percorsi e le attività svolti dagli operatori e dalle operatrici, con un focus sui gruppi psico-educativi nei quali si propone di arrivare alla consapevolezza delle proprie azioni, all’analisi e al riconoscimento delle proprie emozioni e reazioni nella sfera intima ed emotiva.
D: Qual è l’approccio inziale di un uomo che arriva al Centro? Si tratta di persone consapevoli dei gesti che hanno compiuto? C’è la voglia di cambiare, di intraprendere una nuova vita?
R: In realtà direi di no. Quasi sempre quando si affrontano i propri problemi personali, si arriva ad averci a che fare sull’onda di una crisi, quindi non si tratta proprio di un procedimento “mosso da ideali”. C’è l’esigenza di confrontarsi concretamente con il problema. Per spiegarmi faccio un’analogia: ad una persona che ha un problema di alcolismo se magari succede qualcosa di grave, poi non può più negare che l’alcol rappresenti un problema.
Gli uomini arrivano al Centro con quest’atteggiamento qui. Molti tendono a minimizzare le violenze, a dire che questi episodi non rappresentano nulla di grave; altri addirittura negano i fatti o additano la colpa alle vittime. Chi più, chi meno arriva con questo tipo di impostazione.
D: Cosa si fa all’interno del Centro in concreto? Ci sono dei percorsi o delle attività di carattere psicologico?
R: Noi facciamo una prima fase di colloqui individuali con una serie di autorizzazioni a contattare la partner. In questo step iniziale viene fatta una valutazione del rischio, se si può prendere l’incarico l’uomo. Dopo la persona viene inserita in un gruppo psico-educativo della durata di un anno. I gruppi psico-educativi sono gruppi di uomini che si incontrano settimanalmente, co-condotti da un operatore e da un’operatrice. Si affrontano varie tematiche come ad esempio in cosa consiste la violenza, la gestione delle situazioni, il riconoscimento delle proprie emozioni e degli effetti sulla vittima, sui minori. E’ un lavoro articolato che riguarda tutte le tipologie di violenza.
D: Il termine del percorso all’interno del Centro è lo stesso per tutti o ci sono casi che necessitano di maggiore tempo e aiuto? Come funziona?
R: In alcuni casi si chiede di ripetere l’esperienza del gruppo psico-educativo una seconda volta; in altri gli uomini manifestano un interesse a continuare a lavorare su di sé, quindi abbiamo un gruppo terapeutico (senza limiti di durata). Si chiude quando c’è il raggiungimento dei risultati previsti o perché la persona si sente in grado di gestire le situazioni future.
La storia di un uomo al Centro di ascolto: un messaggio di speranza, il cambiamento è possibile
D: Può raccontarci la storia di qualche uomo che ha frequentato il Centro che l’ha particolarmente colpita?
R: In particolare la storia di un uomo che abbiamo seguito a lungo: era preoccupato per il figlio, diceva che era violento con la compagna. Nei colloqui poi è venuto fuori che in realtà anche lui (il padre) era stato violento con la moglie. Lì è cominciato un percorso durato diversi anni, era il periodo in cui gli uomini aderivano ancora solo su base volontaria. E’ stato molto bello perché quest’uomo ha rivisto settant’anni della sua vita, gli stereotipi rispetto alle donne, anche i danni che in qualche modo lui aveva fatto con i suoi comportamenti sulla compagna. La coppia poi è riuscita a ricucire i rapporti.
L’altro messaggio che vorrei arrivasse è quello di non minimizzare la violenza. Il nemico peggiore della soluzione al problema dei maltrattamenti è proprio dire: ‘Non ho fatto niente’, ‘La colpa è sua’, ‘Quello che ho fatto non è così grave’. Bisogna imparare a riconoscere anche nella svalutazione, come per esempio quando viene detto: ‘Sei una stupida’, ‘Non capisci niente’. Anche in questo bisogna imparare a riconoscere una forma di violenza, così da intervenire subito. Non aspettiamo che poi si degeneri nei casi gravi.
Per approfondire il tema dei maltrattamenti ai danni delle donne, ecco l’intervista alla Presidente del Centro antiviolenza “La Nara” e l’esclusiva alla criminologa Ciaravolo sulla morte di Giulia Cecchettin.