Arweave è un progetto rivolto essenzialmente allo storage di dati. Ricorda quindi per molti versi Filecoin, vero e proprio precursore in tal senso, e Siacoin, altra soluzione che si è proposta in termini di servizio per una rete più efficiente.
La stessa azienda, sul suo sito, si descrive come “un disco rigido di proprietà collettiva che non dimentica mai”, sino a configurare un web permanente e decentralizzato, indicato come “permaweb”, un ecosistema popolato da applicazioni e piattaforme in grado di dare vita ad una comunità. Un progetto quindi tale da andare oltre il semplice aspetto speculativo che caratterizza molti token.
Cose Arweave e chi l’ha fondata
La rete Arweave, nata come Archain, utilizza blockweave, una variazione della tecnologia blockchain caratterizzata dal fatto che ogni blocco è collegato sia a quello immediatamente precedente che a uno casuale. Secondo gli sviluppatori questa disposizione dei blocchi rappresenterebbe un incentivo per i minatori, i quali sarebbero spinti a memorizzare una maggior quantità di dati, in maniera tale da poter accedere a quelli casuali. Senza questi ultimi, infatti non possono partecipare al sistema delle ricompense previste per chi ne aggiunge di nuovi alla catena.
Le ricompense in questione prevedono l’impiego del token nativo AR, che è utilizzato anche per l’archiviazione a tempo indeterminato dei dati all’interno della rete. La tokenomics di Arweave prevede una fornitura complessiva pari a 66 milioni di esemplari, di cui 55 già coniati in corrispondenza con l’aggiunta del primo blocco alla catena.
Il debutto di Arweave risale al 2017, mentre il rebranding che ha condotto all’attuale denominazione è dell’anno successivo, quando è avvenuto il lancio ufficiale. A dare impulso al progetto sono stati Sam Williams e William Jones.
Il primo è noto anche per lo sviluppo di un sistema operativo, HydrOS, mentre Jones si era concentrato in precedenza su grafi e reti neurali. i e sulle reti neurali. Se la leadership iniziale era centralizzata, a partire dal 2020 Arweave è guidato da una DAO (Decentralized Autonomous Organization), che indica la strada lungo cui cercare di conseguire un’adeguata espansione dell’ecosistema ad esso collegato.
La Proof-of-Access
Se blockweave è la prima differenza tecnologica con la stragrande maggioranza delle criptovalute esistenti, Arweave presenta un’altra peculiarità di non poco conto. Il meccanismo di consenso adottato, infatti, è il Proof-of-Access (PoA), una variante del Proof-of-Work su cui si basa Bitcoin.
Se con il PoW è obbligatoria la risoluzione di complessi calcoli matematici, con questo algoritmo è invece necessario che ogni computer partecipante alla rete si impegni nella verifica relativa alla presenza di un indicatore, selezionato in maniera casuale da un blocco precedente di transazioni, in quello che deve essere aggiunto.
Ove tale presenza sia effettivamente riscontrata, le nuove transazioni saranno convalidate e il nodo potrà incassare la dovuta ricompensa in token AR. Il processo organizzato in questo modo, costringendo ad una verifica del pregresso, permette effettivamente alla rete di restare integra.
Le prospettive di Arweave
Come abbiamo visto, quindi, Arweave è un progetto reale, il quale cerca di rispondere ad una esigenza effettiva, quella relativa all’archiviazione dei dati. Anche il modo in cui affronta il problema è degno di nota, con innovazioni tecnologiche, blockweave e Proof-of-Access, che conferiscono originalità al suo sviluppo.
Proprio per questo Arweave potrebbe attrarre l’attenzione dei trader alla ricerca di soluzioni alternative a Bitcoin e Altcoin più note. Attenzione che potrebbe concretizzarsi nel nuovo anno, in cui è attesa la fine della gelata in atto sul mercato da ormai un paio d’anni. L’incognita in tal senso è però rappresentata dalla concorrenza di Filecoin e Siacoin, che si muovono nello stesso ambito. Soluzioni che possono vantare una maggiore visibilità presso gli investitori, che potrebbe pesare non poco nella disfida tra di loro.