Circeo è già uscita su Paramount Plus e ora che arriva sulla Rai il suo regista Andrea Molaioli ha dovuto rispondere ad alcune polemiche. Hanno fatto discutere, infatti, le scelte di aver inserito nella vicenda personaggi fittizi e non reali, e di non aver coinvolto le famiglie delle vittime rispetto a quanto accaduto per esempio con la serie su Elisa Claps.

Un lavoro quello per portare sullo schermo la serie che è stato, però, di grandissima ricostruzione storica con la lettura da parte del team di sceneggiature di tutte le carte processuali. Un lavoro fatto con serietà, come lo stesso Moiaioli ha spiegato in un’intervista esclusiva a TAG24

Andrea Molaioli intervista video al regista di Circeo: “Cultura patriarcale responsabile di simili violenze”

Andrea Molaioli è da sempre a suo agio con il thriller e la cronaca. Fin da quel La ragazza del lago del 2007, che lo fece conoscere al grande pubblico.

Una maestria che gli è sicuramente servita per portare sullo schermo la terribile vicenda del massacro del Circeo, adattata per il piccolo schermo nella serie Circeo, in arrivo sulla Rai. E anche per resistere alle polemiche che il progetto ha attirato su di sé durante e dopo la produzione.

D. Andrea Moiaioli la storia del Circeo è stata portata sullo schermo attraverso altri media, ma qui vi soffermate su un arco di tempo maggiore. Come si affronta una vicenda realmente accaduta come questa?

“Si affronta con quel senso di responsabilità è di serietà con la quale si affronta una narrazione che tratta di fatti e persone reali. In questo caso l’approccio, la conoscenza con la documentazione e la serietà dovrebbe essere superiore e spero che in qualche modo lo sia stato. È vero che noi raccontiamo un arco di tempo molto ampio in questa storia, che va dal 1975, quando questi fatti sono accaduti, fino al secondo processo del 1980. La crudeltà e la violenza appartengono esclusivamente alla prima parte della nostra narrazione, poi ci siamo concentrati su tutto quello che questo evento ha generato nell’opinione pubblica. C’è stata una crescita di consapevolezza nel Paese rispetto a quanto stesse accadendo, a quanto un certo tipo di cultura avesse provocato e quanto determinate leggi dovessero cambiare. Ricordo solo un piccolo esempio: all’epoca uno stupro era considerato un reato contro la morale è non contro la persona, chi lo commetteva quel reato poteva rischiare delle pene irrisorie. Questo evento e la discussione che ne è conseguita, e la crescita del movimento femminista hanno fatto sicuramente da volano ad una consapevolezza dell’opinione pubblica che poi si è trasformata in legge molti anni dopo (1996 ndr)”.

D. Nella storia ci sono personaggi fittizi oltre a quelli reali, come mai questa scelta?

“La commistione tra personaggi fittizi è realmente esistiti diventa fondamentale dal punto di vista drammaturgico per la narrazione. Ovviamente il personaggio di Greta Scarano, nonostante non sia esistito, racchiude una serie di figure al suo interno che realmente hanno assistito Donatella Colasanti, non soltanto dal punto di vista legale ma anche emotivo. Personaggi come questo hanno aiutato a creare un racconto parallelo a quello storico, ma anche della conoscenza dell’amicizia che si viene a creare tra due donne diverse tra di loro ma che insieme riusciranno a comprendersi riuscendo a capire anche qualcosa in più di loro stesse”.

D. Il lavoro di ricerca storica com’è stato? Rispetto alla serie su Elisa Claps voi non avete avuto testimonianze dirette

Per tutto quello che appartiene alla parte processuale c’è una documentazione infinita molto ampia e complessa, ma altrettanto facilmente reperibile. Il lavoro di documentazione sull’aspetto più privato è arrivato fin dove si poteva arrivare, esistono persone viventi che hanno avuto modo di conoscere le ragazze. Abbiamo cercato di non creare dei santini, ma di dare una credibilità e questa serie ha raccontato dei personaggi autentici”.

D. Una serie come questa può aiutare nell’educazione contro la violenza sulle donne?

“Il problema legato alla violenza contro le donne non si risolve con una serie tv, ma per certi aspetti non si risolve neppure con delle leggi. Credo che siano necessarie entrambe, naturalmente soprattutto queste ultime. Il problema vero è di carattere culturale, spostarsi da una società patriarcale che anche i più progressisti temono possa riaffiorare. La cultura patriarcale porta a questo tipo di atti e violenze, la modifica di questa cultura passa anche attraverso opere culturali come può essere una serie televisiva che va su una rete pubblica nazionale arrivando a più persone possibili. È un bene che questa serie ci sia perché mette in campo qualcosa che a mio avviso non tutti conoscevano per quello che era il suo portato, spero possa diventare un piccolo contributo in una messa in discussione generale di una cultura che è all’origine della violenza”.