Non si arresta la battaglia delle dipendenti de La Perla, lo storico brand di lingerie di lusso bolognese dal 2018 in vertenza contro la proprietà del Fondo Tennor.
Dopo l‘esito disastroso dell’incontro con il Fondo nel tavolo di crisi aperto presso il MIMIT – letteralmente disertato da Lars Windhorst, il finanziere tedesco che detiene oggi la proprietà del marchio – le lavoratrici dell’azienda hanno dovuto fare i conti con la mancata erogazione dello stipendio del mese, atteso per il giorno 10.
Il mancato accredito, tuttavia, è solo l’ennesimo segnale dell’assoluta inaffidabilità della proprietà che dal 2018 non ha mai presentato un piano industriale per il rilancio de La Perla compromettendo non solo l’esistenza dell’azienda ma anche la salvaguardia di una tradizione artigianale unica al mondo.
Vertenza La Perla, a ottobre non pagati gli stipendi alle dipendenti
A tenere viva la vertenza La Perla – nonostante i ritardi negli accrediti degli stipendi – e a lottare perché questa grande storia produttiva, intrinsecamente legata al territorio bolognese, non vada distrutta sono da anni le sue dipendenti che per prime hanno scelto di far emergere la crisi, portandola alla ribalta sulle cronache nazionali.
La storia della vertenza La Perla, infatti, non si esaurisce in quello che sta accadendo – o non accadendo – in una storica azienda di Bologna, ma dovrebbe essere un monito affinché cittadini e Istituzioni si interroghino sulle conseguenze che la speculazione finanziaria internazionale può avere sul tessuto produttivo e sui territori.
Per questo, la redazione di TAG24 ha deciso di raccontare oggi la vertenza La Perla dal punto di vista di Antonella, una delle storiche dipendenti che, con tenacia, lotta per difendere un patrimonio che appartiene a tutti noi.
Antonella, dipendente La Perla: “Al centro della storia dell’azienda la formazione, la creatività e l’artigianato. La finanza ha poi distrutto tutto”
Antonella, ci racconta la sua storia a La Perla?
«Quest’anno ho festeggiato, seppur nel peggiore dei modi, le nozze d’argento con l’azienda: sono infatti 25 anni che lavoro a La Perla. Qui sono entrata come apprendista cucitrice dopo gli studi da progettista di moda.
Dopo un brevissimo periodo di inserimento l’azienda mi ha permesso di prendere un secondo diploma e sono diventata un’analista tempi e metodi. Allora la Perla, oltre ad avere un filo diretto con le scuole di moda, aveva una straordinaria scuola di formazione interna che non so se avrà mai eguali.
Il dato più grave di questi anni, oltre ai disastri combinati dall’ingresso della finanza, è che la proprietà ha dimenticato la realtà di artigianato puro che era La Perla.
Nessuna macchina potrà sostituire le mani delle operatrici e dunque il livello di qualità dei nostri prodotti, anche dal punto di vista delle materie prime. Costruire un capo richiede uno studio approfondito, una certa cura nella lavorazione.
Questo tipo di cultura veniva trasmessa in azienda, e ogni sapere veniva tramandato come un segreto interno da condividere con chiunque entrasse a far parte di questa famiglia. Si respirava la voglia di insegnare alle nuove generazioni questo tipo di arte.
Ma questi purtroppo erano gli anni della proprietà Masotti, ovvero la famiglia fondatrice. Quando la proprietà è stata ceduta tutto questo clima creativo ha iniziato lentamente a snaturarsi».
“Dal 2008 è iniziato il declino di La Perla, noi dipendenti abbiamo fatto di tutto per tamponare gli errori”
Come si è trasformata questa realtà negli ultimi anni?
«Purtroppo il declino è iniziato nel 2008, quando è entrato in gioco il primo fondo di investimento. Allora eravamo più di 1.000 dipendenti e mai avremmo pensato che si potesse ridurre un simile impero in questo modo. Eppure ci sono riusciti.
Il primo fondo, l’americano JH Partners, ha prodotto solo un cumulo di macerie con i suoi piani di ristrutturazione e i suoi tagli al personale, iniziando ad azzerare la possibilità di istruire nuove generazioni.
Dopo la gestione del fondo è subentrata l’amministrazione Scaglia che ha voluto stravolgere il prodotto fino a renderlo irriconoscibile.
Arriviamo così alla gestione del fondo Tennor – ex Sapinda – che si è insediato presentando non un piano industriale ma un piano di licenziamento collettivo per 126 persone.
Insomma: in questi 15 anni La Perla ha subito solo tagli e licenziamenti, perdendo professionalità uniche che, ovviamente, appena sono sul mercato vengono immediatamente accaparrate. Nessuna di noi dipendenti ha mai fatto più di un colloquio per ottenere un lavoro: chi è del settore conosce il valore unico della nostra professionalità».
Alla luce di questa grande professionalità, quanto è difficile vedere un bene prezioso come La Perla sminuito in questo modo?
«Molto, tant’è che noi dipendenti abbiamo sempre fatto di tutto per tamponare gli errori di queste gestioni. Qualsiasi imprenditore avrebbe compreso il vantaggio incredibile di avere una forza lavoro così affezionata al marchio e così disponibile al rilancio.
Non credo si tratti di un aspetto banale: tante persone vanno al lavoro solo per ottenere lo stipendio, poi alla fine della giornata quello che è fatto è fatto. Noi no, anche perché venivamo dal mondo dell’artigianato che, a mio parere, aiuta a coltivare un sentimento di coesione verso i propri colleghi. Solo con l’unione di conoscenze si può infatti arrivare a progetti unici.
Dall’uscita della famiglia Masotti, tuttavia, di questo patrimonio non è più interessato a nessuno».
“Il Fondo Tennor ha distrutto non solo La Perla, ma anche tutto l’indotto”
Le conseguenze di questa mala gestione non sono purtroppo ricadute solo su di voi.
«Esatto: basti pensare alle scuole di formazione in progettazione e abbigliamento e alle nuove generazioni che non hanno i luoghi dove applicare le loro conoscenze e crescere.
Per non parlare, poi, dell’indotto messo in ginocchio da questi fondi di speculazione. La Perla aveva dei fornitori esclusivi che, mano a mano, non sono stati più pagati fino a dover chiudere.
Quello che è successo qui è un vero e proprio scempio compiuto alla luce del sole. Per questo credo serva una legislazione che permetta di evitare queste situazioni.
L’altro giorno noi dipendenti siamo state a un evento preparato dalle istituzioni in Salaborsa, in pieno centro storico a Bologna, per denunciare come ci siano ben quattro aziende del bolognese nelle stesse condizioni dopo l’acquisizione da parte di fondi di investimento che hanno fatto speculazione finanziaria. Tutte queste imprese che oggi sono in crisi senza aver mai avuto un problema di prodotto.
La Perla continua a generare la domanda nei suoi prodotti ma noi non riusciamo ad evadere le richieste. Piano piano ci stanno spegnendo ogni tassello: prima Excel, poi tutto il sistema Microsoft, poi il server per le email. Praticamente siamo arrivati a carta e penna.
Nonostante questo, con il poco che avevamo in magazzino, siamo riusciti a mettere insieme delle cosine che siamo pronte per spedire, nella speranza che ripartano i sistemi operativi. Il problema è che non solo stanno chiudendo tutti i negozi, ma adesso non funziona più neanche l’e-commerce».
Vertenza La Perla, dopo il tavolo al MIMIT l’ennesima sorpresa: ad ottobre non sono stati accreditati gli stipendi
Due settimane fa avete descritto l’incontro al MIMIT, disertato dal fondo Tennor, come surreale. Come ha vissuto la mancanza di rispetto mostrata dalla proprietà di Lars Windhorst?
«L’incontro è stato la prova che il Fondo non rispetta nessuno, neanche le istituzioni italiane. Solo questo dovrebbe far capire chi sono i personaggi di cui parliamo: hanno mandato al tavolo con il nostro Governo tre rappresentanti privi di qualsiasi mandato legale.
All’incontro precedente, quello del 5 settembre, il proprietario Lars Windhorst si è presentato in video dal suo elicottero privato sorseggiando vino. Dopo aver detto la sua ha staccato il collegamento, neanche il tempo di ascoltare quanto avevamo da dire. Noi ci siamo recate fino a Roma, consumando carburante e stipendio che non riceviamo, per nulla».
L’ultimo stipendio di ottobre non è arrivato?
«Sì, purtroppo questa è l’ultima novità di venerdì. Attendevamo la retribuzione come ogni 10 del mese, ma non è arrivato niente. Davvero non abbiamo più parole: non so sinceramente dove troviamo la forza di continuare a lottare».
“La Perla è fatta di dipendenti che hanno questo lavoro nelle viscere. Per questo continuiamo a lottare”
Quanta serenità vi ha tolto questa storia?
«Tanta. Noi lavoriamo sì per lo stipendio, ma abbiamo questo lavoro nelle viscere. Vedere qualcuno che ce lo sottrae in questo modo fa male. Dentro La Perla noi siamo cresciute, ci siamo fidanzate, ci siamo sposate e abbiamo fatto figli: insomma, abbiamo condiviso tutto.
Questa azienda è stata costruita come una famiglia e questa coesione si vede anche nel nostro lottare. Hanno distrutto un sogno, oltre che la serenità delle nostre famiglie, dato che tutti abbiamo un mutuo.
L’anno prossimo La Perla farà 70 anni. Per celebrare avremmo voluto organizzare una grande sfilata con una grande collazione dedicata ad Ada Masotti, la fondatrice del marchio. Nonostante tutti i problemi, le mie colleghe sono riuscite a mantenere i rapporti con i fornitori garantendosi i materiali necessari. Eppure non se ne farà niente a causa della proprietà».
Sente la vicinanza delle nostre Istituzioni?
«Sì, anche se vorremmo solo che il Governo dicesse basta. Purtroppo sappiamo che attualmente non esistono delle leggi per poter chiedere l’esproprio della proprietà, dato che siamo un Paese democratico. Trovo comunque che le nostre Istituzioni siano sul pezzo e sappiamo che se fosse esistito un modo per risolvere lo avrebbero già adottato.
Diversi esponenti politici ci hanno manifestato solidarietà – tra cui la Schlein – e hanno fatto interventi parlamentari per attirare l’attenzione verso la nostra causa. In Senato si è tenuta un’audizione con le nostre colleghe. Le nostre funzionarie sono state invitate in Commissione al Senato. Sicuramente c’è un interessamento importante.
Oggi c’è un ministero che si chiama del Made in Italy. Ecco, è questo che dobbiamo difendere: non solo La Perla è a rischio, tutte le aziende possono essere messe in ginocchio dalla speculazione finanziaria. Tante già lo sono.
Oggi noi stiamo chiedendo delle verifiche sugli accrediti dei nostri contributi, dopo che la società de La Perla UK risulta fallita per debiti all’erario. Abbiamo il dubbio che i soldi prelevati dalla nostra busta paga non siano finiti dove dovevano finire.
Spero che questi accertamenti finiscano presto, perché se le cose non fossero in regola sarebbe estremamente grave. Saremmo di fronte a un livello di delinquenza talmente sottile da essere in grado di uccidere pian piano».