Aveva 26 anni e lavorava come operaia per una ditta che si occupa dell’imballaggio di prodotti surgelati: chi era Anila Grishaj, morta schiacciata da un macchinario nel pomeriggio di ieri, 14 novembre, a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. Era originaria dell’Albania. Ora i suoi familiari e amici reclamano giustizia.

Chi era Anila Grishaj, l’operaia morta in fabbrica a 26 anni a Treviso

Di origini albanesi, da tempo Anila viveva in provincia di Treviso insieme ai genitori e ai due fratelli. Dopo aver frequentato l’istituto tecnico per il turismo di Valdobbiadene, aveva iniziato a lavorare come operaia all’interno di uno degli stabilementi della Bocon di Pieve di Soligo, un’azienda che si occupa dell’imballaggio di prodotti alimentari surgelati.

Ieri, 14 novembre, poco prima di finire il suo turno, la 26enne sarebbe rimasta incastrata con la testa in una macchina che in gergo viene chiamata “robot pallettizzatore”, usata per automatizzare i movimenti dei bancali, morendo dopo aver riportato gravi lesioni da schiacciamento alle vertebre cervicali.

Non si sa, per il momento, se si sia trattato di un errore umano, un movimento sbagliato dell’operaia, oppure di un malfunzionamento del macchinario, da cui invano i colleghi avrebbero provato a tirarla fuori dopo essersi resi conto dell’accaduto. Per fare luce sul caso la Procura di Treviso ha già aperto un apposito fascicolo d’inchiesta.

I familiari e gli amici chiedono giustizia. Stamattina si sarebbero presentati davanti al luogo della tragedia, venendo allontanati dai carabinieri che, come da prassi, non avrebbero permesso loro di entrare nella fabbrica, sottoposta ad accertamenti. Il papà della vittima, sconvolto, avrebbe preso a calci una fioriera: voleva vedere dov’è morta sua figlia.

I messaggi di cordoglio

Nei primi sette mesi del 2023 il numero dei morti sul lavoro ammontava già a 559, con una media di 80 per mese. Significa che ogni due giorni cinque persone perdono la vita dopo essere uscite di casa per guardagnarsi da vivere, proprio come Anila.

Appena un anno fa sui social la 26enne aveva prestato il suo sorriso a una campagna promozionale lanciata dall’azienda sui social. Accompagnavano lo scatto le seguenti parole:

Anila viene dall’Albania, un paese tutto da scoprire. Le piace fare shopping, adora mangiare e il suo prodotto preferito è la focaccia ripiena di peperoni, melanzane e provola affumicata.

Parole che ora vengono riprese sui social per ricordarla. Il sindaco di Miane, il piccolo Comune in cui la ragazza viveva, ha già espresso il suo cordoglio nei confronti della famiglia, così come la deputata Dem Rachele Scarpa, che ha fatto anche sapere che farà tutto il possibile per portare a galla la verità sulla vicenda.

Bisognerà capire, ad esempio, eventuali responsabilità della ditta. Sembra che il macchinario che ha ucciso Anila fosse stato acquistato da poco.

Una tragedia che ne riporta alla mente un’altra

La tragedia che ha coinvolto la famiglia Grishaj ricorda molto quella di Luana D’Orazio, la 22enne morta stritolata da un macchinario durante il turno di lavoro nella ditta tessile che da poco l’aveva assunta come apprendista.

Nel suo caso le colpe sono già state accertate: per la sua morte hanno patteggiato una condanna a 2 anni e a un anno e sei mesi di reclusione i due titolari dell’azienda, Laura Coppini e il marito Daniele Faggi.

Un’altra persona, Mario Cusimano, è stata rinviata a giudizio con l’accusa di omicidio colposo e rimozione dolosa di cautele antinfortunistiche: da manutentore avrebbe dovuto tenere sotto controllo le macchine usate dagli operai.

La mamma della ragazza continua a lottare, chiedendo che venga finalmente introdotto, nell’ordinamento italiano, il reato di omicidio sul lavoro. Un argomento di cui si era tornati a parlare, di recente, con la strage di Brandizzo, costata la vita a cinque operai impegnati nella manutenzione e sostituzione di alcuni binari.