Oltre alla crisi provocata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu deve fare i conti anche con gli attacchi che arrivano dal ‘fronte interno’, con il leader dell’opposizione Yair Lapid che trona a criticarlo apertamente.
Israel, Lapid contro Netanyahu: “Eviti di paragonarsi a Roosvelt”
Per Benjamin Neatnyahu la guerra non è solo oltre il confine con la Striscia di Gaza, ma anche al suo interno.
A farsi portavoce del malcontento sempre più diffuso tra la popolazione d’Israele, e stemperato brevemente solo dal dolore per la violenza di Hamas, è adesso il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid. Quest’ultimo ha criticato le parole pronunciate dal premier in una recente intervista all’emittente USA Cnn, nella quale Netanyahu sosteneva che un’eventuale inchiesta sulle responsabilità per l’attacco di Hamas andrebbe svolta solo dopo la fine del conflitto.
Lapid non è affatto d’accordo e ha manifestato apertamente il suo dissenso.
“Il primo ministro Netanyahu deve smettere di cercare di scaricare le proprie responsabilità. Se vuole che non affrontiamo ora la questione di chi è la colpa, allora eviti di andare sulla Cnn a paragonarsi a Roosevelt”.
Le colpe di Netanyahu, dagli ostaggi al figlio Yair, fino alla citazione di Roosevelt
Il motivo dell’astio di Lapid trova la sua origine nel fatto che mentre alcuni funzionari israeliani hanno ammesso pubblicamente le loro colpe per quanto accaduto il 7 ottobre, Netanyahu si è rifiutato di unirsi a loro.
Nell’intervista, il premier israeliano – incalzato sul fatto se l’esercito israeliano non stesse esagerando con i bombardamenti, soprattutto sugli ospedali – si chiedeva, retoricamente, cosa avrebbe fatto Roosevelt dopo l’attacco a Pearl Harbor.
Proprio il parallelismo con il presidente USA che scese in guerra contro le forze dell’Asse guidate da Hitler non va giù a Lapid.
“Roosevelt non ha consegnato valigie piene di soldi al generale (giapponese) Yamamoto e non ha rafforzato i giapponesi per 13 anni attraverso politiche errate e fallite che hanno portato al disastro“.
C’è da dire che da tempo il premier israeliano è preso di mira da chi contesta il suo operato nella crisi scoppiata con l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Proteste e richieste di dimissioni che sono arrivate anche a minacciare la sua abitazione.
Da un lato, il flop dell’intelligence, inerme di fronte all’offensiva dei miliziani, dall’altro, l’incapacità di sbloccare la situazione degli ostaggi rapiti e, nel mezzo, l’imbarazzo per la vicenda di suo figlio Yair, accusato di essersi ‘imboscato’ a Miami, evitando la chiamata alle armi.