Sul caso Indi Gregory prende la parola la ministra Eugenia Roccella che attacca la decisione dei giudici inglesi di vietare il trasferimento della piccola a Roma. Per la ministra è in gioco la questione della libertà di cura, a suo dire “palesemente ignorato“.
Indi Gregory, Roccella su Facebook: “Impedire la ‘second opinion’ contrario a ogni deontologia medica”
Da vicenda dolorosa e privata, a caso politico internazionale dai toni sempre più accesi. Le condizioni della piccola Indi Gregory, la bambina nata lo scorso febbraio e affetta da sindrome da deperimento mitocondriale, sono al centro di uno scambio che rischia di inasprirsi tra le istituzioni italiane e quelle del Regno Unito.
Dopo che l’appello presentato dai genitori della piccola per ottenere il trasferimento all’ospedale ‘Bambino Gesù’ di Roma – che si era offerto di tentare nuove cure per la bambina – è stato respinto dalla Corte inglese, sembra imminente lo spegnimento delle macchine che la tengono in vita.
Contro questa decisione, supportata anche dal governo italiano, si scaglia oggi, 11 novembre 2023, la ministra per le pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella. In un lungo post su Facebook, Roccella attacca duramente l’operato dei giudici inglesi che hanno impedito il trasferimento della piccola.
“Ciò che appare incomprensibile è il motivo per cui non sia possibile trasferire la piccola dall’ospedale in cui si trova, in UK, ad uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo, il ‘Bambin Gesù’ di Roma. Non si tratta di sottoporre la bambina a trattamenti improbabili o dolorosi, ad accanimenti terapeutici o peggio a truffaldini ‘viaggi della speranza’, ma di dare a chi ha la responsabilità legale della piccola la possibilità di scegliere un percorso di cura in una struttura accreditata ed altamente specializzata. Impedire la cosiddetta ‘second opinion’ a un paziente è contrario a qualsiasi deontologia medica“.
Per Roccella “dovrebbero combattere per Indi persino coloro che rivendicano la libertà individuale di scegliere come morire”
La ministra è consapevole delle questioni etiche e, soprattutto, politiche che il caso della piccola bambina inglese porta con sé, richiamando la battaglia condotta anche dal governo per portarla in Italia. In gioco, per Roccella, ci sarebbe la questione del diritto alla libertà di cura, a suo dire ignorato in questa vicenda.
“Il caso della piccola Indi pone drammaticamente al centro del dibattito la questione della libertà di cura, un diritto che a parole tutti dicono di difendere, ma che in questa occasione è palesemente ignorato“.
Su questo, la ministra chiama in causa anche chi si batte per il fine vita e l’eutanasia legale in quanto diritti individuali. Per Roccella, da sempre contraria rispetto a simili posizioni, anche loro dovrebbero appoggiare la battaglia dei genitori della bambina e del governo italiano, in nome del diritto di chiunque di “scegliere in ogni momento la vita e non la morte“.
“Paradossalmente, ma non troppo, penso che dovrebbero combattere per Indi persino coloro che rivendicano la libertà individuale di scegliere come morire. Perché in questo caso non è la persona malata, o chi ne ha la responsabilità, a decidere, e tutti i discorsi sull’autodeterminazione vanno in fumo”.
La titolare del dicastero della famiglia conclude il suo post rivendicando il diritto di Indi di essere curata “fino all’ultimo“.
Ma è proprio questo il nodo centrale di tutta la vicenda. Quando “fino all’ultimo” diventa “accanimento terapeutico“? Contro quest’ultimo, infatti, si sono pronunciati i giudici inglesi, sulla base del principio del “massimo interesse del minore“ che regola la loro legislazione, per la quale una prosecuzione delle terapie causerebbe solo sofferenze inutili alla bambina.
Un dilemma etico che si scontra con la dialettica politica, in una rincorsa ad affermare le proprie posizioni che, a volte, finisce col perdere di vista ciò di cui si sta dibattendo: la vita e la morte di esseri umani.