Antonio Martone, accusato di aver bruciato vivo il fratello Domenico per incassare i soldi della polizza vita, è stato ritenuto colpevole ed è stato condannato all’ergastolo. Stando alle indagini, l’omicidio è stato commesso con premeditazione, poiché Martone aveva cercato su Google come uccidere un uomo e ottenere i soldi dell’assicurazione. L’omicidio è stato pianificato nei minimi dettagli già un anno prima del tragico omicidio, quando Antonio ha spinto Domenico a stipulare una polizza vita del valore di 400 mila euro, nella prospettiva di incassarli per poi fuggire all’estero con la fidanzata.
Napoli, bruciò vivo il fratello per riscuotere la polizza vita: condannato all’ergastolo
Così, dopo essersi informato, Martone aveva convinto il fratello Domenico a raggiungerlo in un casolare a Lettere (provincia di Napoli), con la scusa di aver dato appuntamento a due ragazze. Qui, Antonio lo avrebbe tramortito per poi dargli fuoco. Il cadavere semicarbonizzato di Domenico è stato trovato in una strada di campagna al confine con Lettere la sera del 30 marzo. Il riconoscimento del corpo è stato reso possibile grazie al green pass che il giovane portava con sé e che non è stato ridotto in cenere per puro caso.
Le indagini
Le indagini tecniche, e in particolare l’esame dei filmati delle telecamere di sorveglianza del comprensorio tra Lettere, Angri e Pagani, hanno permesso ai carabinieri di ricostruire il tragitto della vittima e dell’omicida, ripreso mentre si allontanava dal luogo del delitto. Il gip aveva immediatamente convalidato il fermo per omicidio pluriaggravato disposto dalla Procura. Il timore degli agenti era che Antonio riuscisse a fuggire facendo perdere le proprie tracce, dal momento che lavorava come cuoco su navi da crociera.
Per ricostruire la dinamica dell’omicidio hanno giocato un ruolo importante anche le intercettazioni delle microspie posizionate dagli inquirenti nell’auto dell’imputato. Martone, parlando e canticchiando da solo, diceva: “Se scampo anche questa, secondo me faccio la botta… posso prendere il posto di Arsenio Lupin“. Il pubblico ministero di Torre Annunziata, Emilio Prisco, durante la sua requisitoria prima della sentenza di condanna, si è servito di un altro riferimento, questa volta biblico, paragonando la storia dei fratelli Martone a quella di Caino e Abele.