La mattina del 21 settembre del 1990, il giudice Rosario Livatino fu freddato in un agguato a soli 38 anni lungo la strada statale ss640 che da Agrigento porta a Caltanissetta, mentre si recava per andare al lavoro a bordo della sua Ford Fiesta. L’auto fu speronata dai suoi carnefici, e nonostante le ferite riportate, l’uomo tentò la fuga a piedi nei campi adiacenti all’agguato, dove trovò poco dopo la morte.
Due dei quattro killer, ovvero Gaetano Puzzangero e Domenico Pace, hanno chiesto perdono per l’assassinio di Livatino e si sono convertiti al cristianesimo. Il secondo, è colui che sparò il colpo di grazia al giudice.
Nel suo ufficio, Rosario Livatino aveva una copia del Codice Penale e del Vangelo, il primo da solo rischierebbe di condannare la persona, il secondo gli permetteva di salvare il criminale e di condannarlo nel modo giusto l’errore commesso.
Come nel caso del compianto Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra nel 1985, gli articoli di numerose testate dell’epoca non riportarono i loro nomi e cognomi ma soltanto la notizia dell’omicidio rispettivamente di un giornalista e di un magistrato per mano delle mafie.
Chi era Rosario Livatino? Parla il procuratore di Avellino Domenico Airoma
Soprannominato il “giudice ragazzino” titolo anche del film omonimo con protagonista Giulio Scarpati, fu ucciso dall’organizzazione criminale dell’agrigentino “Stidda” che lo definiva un “santocchio”, un “bigotto”. Livatino è ancora oggi un esempio per il suo impegno nella lotta contro la mafia, la criminalità organizzata e per la sua incorruttibilità.
Il 9 maggio del 2021, nella Cattedrale di Agrigento è avvenuta la beatificazione di Rosario Livatino, e il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza della Chiesa lo ha onorato come Martire, morto perdonando come Gesù i suoi uccisori.
La festività dedicata al magistrato si tiene ogni anno il 29 ottobre, e come avvenuto per Don Puglisi, non è stato necessario un miracolo per permetterne la beatificazione, in quanto ne è stato riconosciuto il martirio.
Nel 1996, una donna di nome Elena Valdetara Canale, affetta da un linfoma di Hodgkin in stadio avanzato, ha subito una inspiegabile guarigione dopo aver sognato il Levatino. I medici le avevano dato meno di due anni di vita, invece è sopravvissuta e adesso ha 73 anni.
In merito a Livatino, Tag24 ha intervistato il dott. Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino ed ex sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Napoli, dove è stato assegnato alla Direzione Distrettuale Antimafia.
D. Come e quando è nato il suo interesse per la figura di Livatino tra i tanti magistrati morti per mano della mafia?
R. La cosa nasce apparentemente in modo casuale, dico “apparentemente”, perché come dico sempre: “nulla accade mai per caso nella vita degli uomini”. All’epoca ero direttore del periodico La Magistratura, che è l’organo dell’Associazione Nazionale Magistrati, le parlo di fine anni ’90 e ritenni di dedicare degli approfondimenti ai magistrati caduti vittima del dovere. E del tutto casualmente tra virgolette, decisi di partire proprio con Rosario Livatino, perché mi incuriosiva il fatto che di lui nessuno parlasse. Anche il fatto stesso che i giornali dell’epoca quando riportano la notizia del suo assassinio, addirittura non fanno il suo nome. Il titolo di giornale era soltanto: “Assassinato un magistrato siciliano”.
D. Come accadde anche per Don Puglisi, giusto?
R. Sì, ci sono tante assonanze tra la vita di Rosario Livatino e Don Pino Puglisi, si può dire che nessuno dei due ha mai preferito adottare l’etichetta di magistrato antimafia o prete antimafia, l’hanno sempre rigettata. Loro non dicevano “io sono anti”, Livatino era per la giustizia e Don Pino Puglisi per la conversione. Da lì è partita questa mia indagine personale su Livatino. All’epoca era in vita soltanto il papà e quando chiesi informazioni sulla vita del figlio, mi chiesi come mai ci fosse una scarsità di informazioni quasi sospetta, perché nessuno parla di lui? Livatino non ha rilasciato molte interviste, solo due conferenze: una sul giudice in una società che cambia e l’altra su fede e diritto. Poi nulla, nemmeno immagini pubbliche, soltanto qualche immagine rapita tra cui quella ad un matrimonio di un collega e quando consegna una onorificenza ad un carabiniere, poi nient’altro. Così è nata la mia indagine, raccogliendo testimonianze sul suo conto.
D. Diciamo che da questa indagine nasce anche il suo Centro Studi Livatino?
R. Il Centro Studi nasce come modello per tramandare l’attualità, ho raccolto una serie di dichiarazioni e testimonianze che mi hanno convinto che mi trovassi davanti ad un magistrato dai tratti molto peculiari, quasi appunto paradigmatici per tanti aspetti. Sia per la sua vita professionale che per la sua vita personale.
D. Che vita è stata quella di Livatino?
R. Chi affronta la storia di Livatino deve evitare di trasformarlo in un santino, perché la sua è stata una vita assolutamente ordinaria però vissuta in modo straordinario. In realtà anche la sua stessa spiritualità è stata molto combattuta e drammatica, non era una spiritualità superficiale e le sue agende lo testimoniano. Non dobbiamo farci prendere dalla tentazione di farne una sorta di “sovrastruttura” rispetto all’essere un magistrato, è un tutt’uno, il tutto vissuto in modo molto naturale, non ha mai ostentato il suo essere cattolico. Tanto è vero che gli stessi mafiosi erano perfettamente consapevoli del fatto che lui fosse un magistrato incorruttibile in quanto cristiano. Non funzionava né la corruzione e neanche la minaccia di attentati, perché rendere giustizia era la sua vocazione. Ha risposto ad una chiamata che veniva dall’alto, quindi non l’avrebbe potuta barattare con niente e con nessuno.
D. Aveva paura secondo lei?
R. Aveva paura, come riportano le sue agende, ma nonostante tutto prosegue perché ritiene che possa venir meno ad un giuramento dato. Quando lui entra in magistratura lo fa scrivere con l’inchiostro rosso di aver prestato giuramento. Questo appunto per dire quanto attribuisse rilevanza alla sua funzione, una vera e propria vocazione, una missione. Questo deve colpirci, questo deve essere tramandato di Livatino, la sua integralità.
D. Negli anni, come nel caso Livatino, molti pentiti di mafia hanno aiutato le indagini e a risolvere alcuni casi, da dove è partita questa scelta di collaborare con le forze dell’ordine? Ritiene che sia solo una collaborazione per eventuali sconti di pena o c’è stata anche una conversione a livello cattolico? Perché alcuni, tra cui uno degli assassini di Livatino, si è convertito successivamente.
R. Partiamo da un dato, che deve essere il punto di partenza: bisogna suddividere chi ha scelto di collaborare con la giustizia in seguito a dei reati commessi e chi invece ha assistito ad un illecito. Sono due categorie completamente diverse, per esempio alla seconda categoria appartiene Piero Ivano Nava, il testimone che ha reso note le prime dichiarazioni sull’assassinio di Livatino, e che tutt’ora è sotto copertura, ha dovuto cambiare generalità, un sacrificio enorme quello che lui ha fatto. I collaboratori di giustizia sono persone invece che hanno compiuto dei reati e che ad un certo punto decidono e diciamo – con grande nettezza – che lo fanno molto spesso per un calcolo, perché chiaramente se collaborano e il loro aiuto è attendibile e mettono a disposizione i profitti e i beni che hanno ricevuto, hanno una possibilità di avere sconti di pena. Se poi a questa scelta di calcolo si aggiunge una resipiscenza reale, può far piacere perché significa che si è completata un’opera di rieducazione.
D. Ecco perché le parlavo delle similitudini tra Livatino e Don Pino Puglisi.
R. Questo perché Puglisi voleva che i mafiosi si convertissero. Questo ovviamente non significa passare sopra ai crimini o il male commesso, perché la misericordia presuppone sempre la giustizia. Senza giustizia la misericordia diventa una contraffazione della carità e quindi questo è il nucleo che dobbiamo tenere presente quando facciamo queste valutazioni. Nel caso Levatino è accaduto che alcune di quelle persone che hanno collaborato dicono – come testimoniato da alcune lettere – di essersi realmente pentiti e convertiti. Ora questo non possiamo saperlo con certezza: De internis neque ecclesia, però dobbiamo dar conto delle loro parole e certamente possiamo ascriverlo ai miracoli.
Inaugurata ad Avellino la mostra “In Sub Tutela Dei” in memoria del giudice Livatino
Avellino ospiterà dal 6 all’11 novembre 2023 la mostra in “Sub Tutela Dei” dedicata al giudice Rosario Livatino. L’iniziativa, organizzata dalla Libera Associazione Forense e del Centro di Solidarietà ‘Giovanni e Massimo’, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati, vuole mostrare ai presenti l’umanità e la figura di Rosario Livatino e sensibilizzare adulti e bambini al tema della lotta alle mafie.
Presente all’evento l’Onorevole Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia. Sabato 11 novembre il Duomo di Avellino ospiterà la reliquia del Beato (la camicia indossata il giorno dell’omicidio) e sarà celebrata la S. Messa dal Vescovo di Avellino, Mons. Arturo Aiello.