Horizen è un’altra delle possibili risposte in termini di scalabilità ai problemi evidenziati sin dall’inizio da Bitcoin. Al tempo stesso si propone di conferire il massimo di riservatezza possibile a chi desidera condurre le proprie transazioni. Una caratteristica, quest’ultima, che spinge molti osservatori a includere questa criptovaluta nella categoria delle privacy coin. Per provare a fornire prestazioni adeguate in entrambi i campi, senza perdere in sicurezza, i suoi sviluppatori hanno dato vita ad un progetto connotato da un livello tecnologico molto elevato.
Horizen: cos’è e cosa si propone
Horizen è nato a seguito di un hard fork intervenuto nella comunità di Zcash dal quale era scaturito ZClassic. A promuovere questa ulteriore divisione sono stati Robert Viglione e Rolf Versluis, con la creazione di ZenCash, diventato Horizen nel maggio del 2018.
Sin dall’inizio il progetto ha adottato come protocollo Zero Knowledge Proof (ZK), un algoritmo che riesce a impedire il tracciamento delle risorse impiegate nelle transazioni. Proprio questa era del resto l’esigenza che intendevano servire i fondatori di Horizen, insieme ad una scalabilità più adeguata di quella evidenziata da BTC.
Il sistema creato è stato poi sottoposto a intesi lavori di aggiustamento nel corso del tempo, tesi a farne un ambiente ideale per lo sviluppo di smart contract caratterizzati da elevata privacy, applicazioni decentralizzate e una piattaforma in grado di ospitare chat private.
Come funziona Horizen
Il funzionamento di Horizen si basa su un sistema di consenso ibrido, in cui convivono Proof-of-Work e Proof-of-Stake. Molto semplicemente, la blockchain utilizza il PoW, mentre le sidechain fanno leva sul PoS. In pratica, in questo modo le seconde danno vita a transazioni sicure confidando sul fatto che gli oltre 30mila nodi che compongono la catena principale, sono un numero enorme, tale da rendere impossibili gli attacchi. Occorre però sottolineare che nel 2018, quando era ancora ZenCash, la rete fu vittima di un attacco 51%, a seguito del quale furono sottratti token per circa 600mila dollari.
Per quanto riguarda il mining, i minatori hanno diritto a ricompense pari al 60% dei token da loro coniati, mentre il 10% ciascuno va a Secure Node Operator e Super Node Operator. Il restante 20% va a sua volta alla DAO (Decentralized Autonomous Organization) di Horizen, andando di fatto a finanziare lo sviluppo del progetto.
All’interno di questo sistema, a fungere da propellente è il token ZEN. I gettoni possono essere oggetto di scambio facile e rapido tra la catena principale e le sidechain grazie a Cross-Chain Transfer Protocol (CCTP), tecnologia sviluppata all’interno dell’azienda. Per quanto riguarda l’offerta massima è stata fissata a 21 milioni di esemplari, come Bitcoin. Si tratta quindi di un token deflazionistico.
Le prospettive per il futuro
Horizen presenta notevoli caratteristiche tecnologiche, tese a dare risposte concrete in termini di scalabilità. Nonostante ciò si trova al 179° posto nella classifica relativa alla capitalizzazione di mercato. Ciò vuol dire che non ha sfondato nella percezione degli investitori.
Il limbo in cui si trova il progetto può essere considerato un risultato della nomea che grava ancora sulle privacy coin, quelle di fungere da strumento ideale per l’economia criminale. Oltre che delle ricorrenti voci di bando nei confronti delle stesse, anche se difficilmente attuabile. Resta da capire se Horizen riuscirà a superare questa impasse o se, al contrario, sia destinato ad una vita grama anche nel futuro.
A favorirne la crescita, però, potrebbe essere proprio la schiarita di cui si iniziano a vedere i segnali in ambito crypto. Nel caso in cui le condizioni di mercato si ristabilissero, proprio Horizen potrebbe attrarre l’attenzione dei trader alla ricerca di token validi. Una caratteristica che, dall’alto dei livelli tecnologici evidenziati, non manca a ZEN.