Avrebbe deciso di puntare sulla perizia psichiatrica, stando alle ultime notizie, la difesa di Alessandro Impagnatiello, il 30enne rinviato a giudizio per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, consumatosi a Senago, in provincia di Milano, lo scorso 27 maggio. All’uomo, reo confesso, sono state contestate quattro aggravanti, tra cui quella della crudeltà: avrebbe sferrato alla giovane, incinta di sette mesi, 37 coltellate, molte mentre era ancora cosciente.

Le ultime notizie sull’omicidio di Giulia Tramontano: rinviato a giudizio Alessandro Impagnatiello

Negli scorsi giorni la Procura di Milano ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per Alessandro Impagnatiello. L’uomo, 30 anni, sarà processato a partire dal 18 gennaio prossimo. Dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario pluriaggravato, ma anche di occultamento di cadavere e interruzione non consensuale di gravidanza, per aver ucciso la compagna 29enne mentre era incinta e averne nascosto il corpo, tentando di depistare le indagini. Rischia l’ergastolo.

I legali che lo difendono, gli avvocati Giulia Geradini e Samanta Barbaglia, starebbero già pensando di richiedere una perizia psichiatrica per valutare la sua capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Potrebbero poi decidere di acquisire tutti gli atti del caso, rinunciando all’audizione dei testimoni e optando per una procedura abbreviata.

Parallelamente, come fa sapere l’Ansa, la difesa potrebbe anche puntare sull’accesso di Impagnatiello a un percorso di giustizia riparativa, l’istituto previsto dalla riforma Cartabia per tutti i condannati (e recentemente concesso a Davide Fontana, il killer di Carol Maltesi). Non è detto, però, che gli venga accordato, come è già successo nel caso di Benno Neumair, condannato all’ergastolo per aver ucciso i genitori. I familiari della vittima e il comune di Senago sono pronti a costituirsi parte civile.

Quattro le aggravanti contestate all’imputato

Secondo l’accusa Impagnatiello avrebbe ucciso la compagna con 37 coltellate, di cui almeno nove sferrate mentre lei era ancora viva. Per questo il gip Angela Minerva ha contestato al 30enne anche l’aggravante della crudeltà, che si configura in tutti i casi in cui l’autore di un reato infligga alla sua vittima sofferenze gratuite, inutili, ulteriori, rispetto a quelle necessarie a causarne la morte.

Le altre sono quella del vincolo di convivenza, dei futili motivi e della premeditazione. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, quando uccise Giulia, Impagnatiello aveva già provato ad avvelenare lei e il feto, somministrandole veleno per topi, ammoniaca e cloroformio. A dimostrarlo sarebbero stati gli esami tossicologici effettuati sulla salma della giovane, ma anche le ricerche fatte online dal 30enne nei mesi precedenti all’omicidio.

La ricostruzione del delitto e del movente

L’ipotesi è che vivesse la prossima nascita del figlio come un peso, un ostacolo alle sue ambizioni lavorative. E che non sapesse più come fare per uscire dall’imbuto nel quale si era cacciato conducendo una doppia vita: una con Giulia, nel loro appartamento di Senago; l’altra con una collega di origini americane che da circa un anno frequentava all’insaputa della 29enne e anch’essa rimasta incinta.

A maggio, dopo essere venuta a conoscenza delle sue bugie, Giulia si era detta pronta a lasciarlo e a costruirsi una nuova vita nel suo paese d’origine, in provincia di Napoli. Impagnatiello l’aveva invece colta di sopresa e uccisa, provando a bruciarne il corpo nella vasca da bagno della casa che avevano condiviso e poi in un box auto.

Subito dopo l’omicidio, provando a depistare le indagini, aveva finto che la 29enne si fosse allontanata volontariamente dopo una lite. Gli inquirenti avvrebbero ritrovato il suo cadavere dietro all’intercapedine di un garage posto a poca distanza dalla loro abitazione. A quel punto il 30enne aveva già confessato: “L’ho uccisa senza motivo”.