La Federvolley ha annunciato Julio Velasco come nuovo commissario tecnico della Nazionale italiana femminile di Pallavolo. Ora prenderà il posto di Davide Mazzanti, esonerato lo scorso 13 ottobre. All’ormai ex allenatore la responsabilità di non aver centrato la qualificazione diretta alle Olimpiadi di Parigi, che ora le Azzurre dovranno conquistarsi attraverso il ranking. Mazzanti che non aveva soddisfatto le aspettative nemmeno agli Europei, in cui era riuscito a piazzarsi solamente al 4° posto.

Siamo molto contenti che Julio abbia accettato la nostra proposta. Siamo convinti che affidare la nazionale femminile a un tecnico del suo spessore sia in questo momento la scelta migliore. Ci sono tutti i presupposti affinché questo nuovo percorso possa regalarci soddisfazioni, sicuramente porterà un contributo importante, come è sempre stato, alla causa azzurra.

L’incarico dell’allenatore argentino avrà ufficialmente inizio il 1° gennaio 2024 e la conferenza stampa di presentazione si terrà martedì 21 novembre alle ore 14:00, presso il Centro Federale Pavesi di Milano. Per Velasco si tratta di un ritorno in azzurro: aveva infatti già allenato le donne tra il 1997 e il 1998. Dal 1989 al 1996 era invece stato alla guida della Nazionale di volley maschile, che sotto la sua guida tecnica ha vissuto veri e propri momenti di storia. Il coach era riuscito a conquistare l’argento olimpico ad Atlanta nel 1996 contro l’Olanda, 3 medaglie d’oro europee, 2 titoli mondiali e 5 vittorie nella World League, oltre ad altri numerosi trofei. Un incredibile filotto di vittorie di una squadra che ha segnato un’epoca, passata alla storia come “generazione di fenomeni”.

Chi è Julio Velasco e la carriera nei club

Julio Velasco nasce a La Plata il 9 febbraio 1952, da padre peruviano e madre argentina di origini inglesi. Iscritto alla facoltà di filosofia, con l’obbiettivo di diventare un professore di scuola, decide di lasciare gli studi e di trasferirsi a Buenos Aires. Qui riceve il suo primo incarico da professionista alla guida di una squadra di volley, precisamente il Ferro Carril Oreste. Da subito si intuiscono le capacità di Velasco, che vince quattro campionati argentini consecutivi e presto diventa il vice allenatore della Nazionale argentina. Con l’Albiceleste vince la medaglia di bronzo ai Mondiali disputati proprio in America del Sud. Nel 1983 arriva in Italia, alla guida del Club Jesi, neopromosso in SerieA2. Alla sua prima stagione nel nostro paese sfiora la promozione in SerieA1, attirando l’attenzione di un top club come Modena. Ed è proprio a Modena che si trasferisce nel 1985. Vince lo scudetto e riesce a difendere il titolo fino a quattro anni dopo.

Poi alcune esperienza con il Piacenza, alla Gabeca e a Montechiari, per poi tornare a Modena nel 2018/2019. Dopo un periodo di pausa torna in panchina nella stagione 2023/2024, al Busto Arsizio femminile. Panchina che con ogni probabilità sarà costretto a lasciare, vista la rigidità della Federvolley sulla questione doppio incarico. Oltre alle avventure nei club ha allenato anche le nazionali di volley di Repubblica Ceca (2001-2003), Spagna (2008-2011), Iran (2011-2014) e Argentina (2014-2018).

Le frasi più famose di Velasco

Personaggio dalle mille sfaccettature, Velasco è stato spesso protagonista di dichiarazioni cariche di significato. Ad esempio quando ha parlato del rapporto ideale tra squadra e allenatore, riallacciandosi al tema dell’amicizia.

Il rapporto con l’allenatore deve essere di rispetto, anche di affetto. È importante, tuttavia, che i giocatori siano uniti tra loro. Uniti perfino contro l’allenatore. A volte faccio arrabbiare la squadra apposta, quando vedo che molla. In questo ho anche ecceduto, è stato il gruppo a dirmi: stai esagerando. E io sono tornato sui miei passi. Si riallaccia tutto al discorso dell’amicizia: il nostro è un lavoro di stress, ma non basta fare le cose per bene, bisogna farle meglio degli altri. Come posso essere amico e mettere sotto stress i giocatori? Magari uno non ha voglia, ha appena vinto e vorrebbe riposare, ha problemi familiari, ha problemi personali. Ecco, io non devo ascoltare niente. Io devo mettere i ragazzi sotto pressione, sia quel che sia: perché devono giocare, devono vincere.

Un uomo deciso, determinato, che non ha paura di assumersi le proprie responsabilità.

Mi ritengo un grande lavoratore, che cerca sempre di approfondire e di imparare. Poi sono un tipo determinato, che conosce le proprie responsabilità e non delega nulla agli altri. Quando dicono “vuole fare tutto lui”, posso rispondere solo che è vero. E aggiungo: ci mancherebbe altro. Sono l’allenatore, le decisioni spettano a me.

Ma anche un grande protettore dei giovani talenti.

Lo dico da anni: se tratti i giovani da deboli, saranno deboli. Dobbiamo trattare i giovani avendo fiducia in loro: tutti. Figli, nipoti e giocatori. Dobbiamo avere fiducia che siano forti, anche a livello mentale. Poi gli va detta la verità: qui si fa sport di competizione, prevarranno i migliori. Il nostro compito è prepararli. Quello che noto e non è cambiato dagli anni 80, nei giovani italiani si notano molto più i difetti di quanto non si esaltino i pregi. Cosa che in altri Paesi non accade. E questo fa parte della cultura generale italiana, non solo dello sport. Ma quello che non può accadere è che i giovani di casa nostra non credano in loro stessi per primi. Questo è un tema centrale nei discorsi che faccio con loro.

E un vero lottatore, abituato al sacrificio e che non conosce il concetto di superficialità.

La prima regola che io metto è “Non si molla”. Mai. Possiamo giocare male, possiamo avere una brutta giornata, però non si molla. Se si molla sono dolori. Una volta con la Nazionale siamo andati negli Stati Uniti: giocavamo due partite di World League, vincendo la prima eravamo già qualificati per le finali. Siccome io combattevo questa cosa ho detto: «Abbiamo vinto la prima, la seconda la giochiamo» che in gergo vuol dire “la giochiamo”, non “stiamo in campo”: la giochiamo, come le altre. «Sì, sì, sì, sì», mi rispondono i giocatori. Siamo entrati in campo e perdiamo 3-0 la domenica. Martedì avevamo il volo, eravamo in California a Los Angeles, lunedì era programmata visita a Disneyland, che io non conoscevo. Abbiamo fatto pesi in albergo, lunedì. E Disneyland non l’abbiamo vista. Perché io metto poche regole, ma quelle lì sono sacrosante. Non si molla mai. Che vuol dire? Mai. Mai si molla. In partita, mai.