Negli anni Ottanta e Novanta andavo nelle scuole elementari e medie a raccontare come nasce un quotidiano, che cos’è un titolo e come si costruisce un articolo secondo la regola delle cinque W (what, who, why, when, where) e l’attenzione da parte dei ragazzi era altissima e in molte classi nascevano i giornalini che gli insegnanti mostravano con orgoglio. I tempi sono cambiati, la diffusione dei giornali è diminuita e molte edicole chiudono. 

Ho rivissuto quelle esperienze nelle scuole leggendo un articolo di Stefano Feltri che è stato a Treviso a “spiegare i giornali a ragazze e ragazzi che non li hanno mai letti e dunque non ne conoscono le logiche. E che all’informazione chiedono cose molto diverse rispetto ai loro genitori”.

Spiegare i giornali cartacei a chi non li ha mai letti

E si domanda: “Come si fa a spiegare i giornali a chi non li ha mai letti? Mi sono trovato con questa missione impossibile, parlare di giornalismo e informazione a un gruppo di liceali di Treviso che sono nati e cresciuti dopo che i quotidiani italiani avevano iniziato a fare errori su Internet”.

E’ una generazione post-edicole, quella che la mattina non passa dal giornalaio, che si ferma a fare qualche chiacchiera e poi chiede il quotidiano ma sta dalla mattina alla sera, e anche la notte, sui social. Il quadro è molto negativo ma l’altro giorno, in treno da Bolzano a Firenze, mi sono emozionato. Perché? Ho visto un bambino di 7, 8 anni che leggeva un quotidiano e in particolare un articolo su Gaza. Ho fatto i complimenti a lui e al padre. Entrambi leggevano un quotidiano di carta. Una speranza, quindi, c’è.

Stefano Bisi