Il fenomeno dell‘infanticidio materno, in cui una madre uccide il proprio figlio, è un atto tragico e sconcertante, orribile e innaturale che solleva interrogativi profondi sulla psicologia umana.

Perché accade? Cosa spinge una madre ad uccidere il proprio figlio? Come spiega questo fenomeno la psichiatria?

Tentiamo di esplorare le complesse ragioni che possono portare a tali gesti incomprensibili, cercando di gettare luce su questa dolorosa realtà, purtroppo sempre più diffusa.

Quanti figli uccisi dai genitori ci sono al mondo?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che il tasso globale di infanticidi sia di circa cinque su 100.000 bambini di età compresa tra zero e quattro anni. È probabile, però, che il numero di casi non segnalati sia elevato. A livello internazionale, le indagini sugli infanticidi, infatti, sono estremamente rare.

In Italia, secondo gli ultimi dati Eures, dal 2010 al 2022 si contano 268 figli uccisi dai loro genitori o da uno di essi. 268 vite stroncate da chi la vita gliel’ha data.

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Cosa spinge una madre ad uccidere il proprio figlio?

La maggior parte dei genitori che uccidono sono madri, vale a dire il 72%. Un terzo degli infanticidi viene seguito dal suicidio dell’assassina.

Al 10% delle colpevoli ancora in vita sono stati diagnosticati disturbi psichici e spesso gioca un ruolo anche la depressione.

I ricercatori sottolineano che da ciò non si può ovviamente concludere che vi sia un pericolo generale rappresentato dalle persone depresse. Non tutte le persone depresse sono potenziali assassini.

Un figlicidio di solito non è un atto pianificato, ma un atto impulsivo. Ma perché accade?

Secondo gli psichiatri i motivi dell’infanticidio sono per lo più “altruistici incompresi”. I genitori che uccidono sono presi dalla fantasia di fare qualcosa di buono per il bambino.

Analogamente alle persone a rischio di suicidio, esiste una visione ristretta secondo cui la morte è l’unica via d’uscita. Il contesto dove questo orrore si sviluppa, spesso è fatto di separazioni, situazioni sociali precarie e violenza.

Nel loro lavoro gli psichiatri sono riusciti a dividere i figlicidi in cinque categorie.

I “padri omicidi-suicidari” rappresentano circa il 17% dei casi; spesso al momento del delitto sono sotto l’effetto di alcol o altre droghe e di solito hanno precedenti di violenza in famiglia. Tre quarti di questi uomini si uccidono dopo l’assassinio.

L’11% degli infanticidi sono causati da genitori inclini ad azioni impulsive e violente, che hanno già abusato del bambino e che sono già giunti all’attenzione delle autorità.

Un altro 28% sono genitori single e pochi di essi sono sobri al momento dell’atto. La maggior parte di loro sono già noti alle autorità.

Le madri assassine che sembrano felici all’esterno

Si tratta delle madri “psicotiche” che rappresentano circa un quarto dei figlicidi. Si tratta per lo più di donne che all’esterno possono mantenere l’immagine di una vita familiare felice, ma all’interno sono profondamente insoddisfatte e provano disperazione.

Queste donne si aspettavano l’esperienza della maternità in modo completamente diverso, Lo avevano idealizzato. Quando, però, si trovano di fronte alla realtà dura da affrontare, cadono nella psicosi e possono arrivare ad uccidere il loro stesso figlio.

Anche l’età dei bambini uccisi gioca un ruolo. Quando si tratta di bambini più grandi, secondo lo psichiatra Harald Dressing, “le madri e i padri sono considerati autori del reato più o meno con la stessa frequenza“.

Possono esserci, per esempio, controversie sull’affidamento dei tra genitori. Quindi il padre o la madre potrebbero uccidere il bambino “per sentimento di vendetta”. Secondo il motto: “Se non posso avere il figlio, non deve averlo nemmeno l’altra persona”.

Un caso a parte sono gli omicidi dei neonati

Secondo Harald Dressing un aspetto particolare dell’infanticidio in generale sono i cosiddetti neonaticidi (uccisione di neonati).

Sappiamo che le donne subiscono cambiamenti ormonali molto forti nel loro corpo dopo il parto. Questi cambiamenti hanno un impatto anche sul cervello e potrebbero “scatenare una depressione delirante”.

Allora la madre può uccidere il suo bambino, spesso soffocandolo. A volte, sbagliando, questi casi vengono erroneamente raggruppati come “sindrome della morte improvvisa del lattante”.

Si può prevenire un figlicidio?

La prevenzione del figlicidio è un compito cruciale che coinvolge non solo le famiglie, ma l’intera società. È importante incoraggiare un dialogo aperto sulle sfide dell’educazione dei figli e sullo stress che può derivarne.

Gli amici e i parenti possono svolgere un ruolo essenziale chiedendo alle persone coinvolte come si sentono e offrendo un ascolto empatico.

La società in generale deve sensibilizzare sull’importanza di riconoscere la fatica e lo stress legati all’educazione dei figli, cercando di rimuovere i tabù e le pressioni sociali.

È fondamentale mettere a disposizione servizi di supporto 24 ore su 24 per le persone in situazioni di crisi, come la depressione o problemi coniugali.

La prevenzione del suicidio è correlata alla prevenzione del figlicidio, quindi è importante prestare attenzione ai genitori che hanno già manifestato pensieri suicidi. Bisogna prendere sul serio qualsiasi annuncio di suicidio e discutere apertamente di questi pensieri senza timori infondati.

È essenziale ampliare gli esami preventivi e le visite post-partum, offrire servizi di consulenza adeguati per i genitori che si sentono sopraffatti e fornire sostegno efficace ai genitori single. Le autorità dovrebbero collaborare in modo più efficiente per intervenire tempestivamente in situazioni a rischio.

Se i parenti notano comportamenti aggressivi da parte di amici o familiari verso un bambino, è importante affrontare la situazione con sensibilità. Parlare con il genitore in un momento tranquillo e suggerire la possibilità di cercare aiuto può essere un approccio utile.

La prevenzione del figlicidio richiede un impegno collettivo per creare un ambiente più sicuro per i bambini e per sostenere le famiglie in difficoltà.