Giovanni Padovani era in grado di intendere e di volere quando, il 23 agosto 2022, colpì l’ex compagna Alessandra Matteuzzi fino ad ucciderla: è ciò che emerge dai risultati della perizia psichiatrica a cui il 27enne è stato sottoposto in carcere. Nelle scorse ore i giudici della Corte d’Assise di Bologna gli avevano negato la possibilità di trasferimento in una Rems, una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Omicidio Matteuzzi, cosa dicono i risultati della perizia psichiatrica su Giovanni Padovani
Da quando è in carcere con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato, Padovani ha già provato a togliersi la vita tre volte: prima tagliandosi le vene con un coccio affilato, poi bevendo del detersivo. Per questo il legale che lo assiste, l’avvocato Gabriele Bordoni, aveva chiesto il suo trasferimento in una Rems.
I giudici della Corte d’Assise di Bologna hanno rigettato l’istanza, stabilendo che il 27enne resterà detenuto. Dai risultati della perizia psichiatrica a cui è stato sottoposto per volere della difesa – che fin dall’inizio sostiene che sarebbe affetto da una grave forma di schizofrenia psicotica – è emerso infatti che è sano di mente.
Secondo i periti che lo hanno visitato, quando uccise l’ex compagna Alessandra Matteuzzi, il 23 agosto del 2022, era lucido: sapeva ciò che stava facendo e ciò a cui andava incontro. Aveva premeditato il delitto, aspettando la vittima sotto casa, armato.
E se avesse voluto avrebbe potuto fermarsi: sia quando si allontanò per recuperare il martello che aveva nascosto dietro a dei cespugli quel pomeriggio, sia dopo l’intervento dei vicini di casa allorché, fingendosi di essere preoccupato per le condizioni di salute dell’ex, le si era avvicinato, inveendo nuovamente contro di lei.
La psicopatologia manifestata oltre quattro mesi dopo il reato ed emersa durante la detenzione (quella di cui parla la difesa, ndr) è da considerarsi a bassa credibilità o inquadrabile come sindrome di Ganser, o ’psicosi carceraria‘,
secondo gli esperti. Vuol dire che, dopo essere stato arrestato, Padovani avrebbe volontariamente esagerato “i sintomi legati a patalogie mentali”, forse nel tentativo di ottenere uno sconto di pena. Se ne parlerà in modo più approfondito nell’udienza del 20 novembre prossimo.
La ricostruzione del femminicidio di Bologna
Il 27enne, ex calciatore, è finito a processo per aver ucciso l’ex compagna di 57 anni Alessandra Matteuzzi. Nell’estate del 2022, nonostante fosse soggetto a una misura restrittiva nei confronti della vittima (che lo aveva denunciato per stalking), l’aveva colpita a martellate, pugni e calci e poi con l’uso di una panchina, per “gelosia”, dopo aver atteso che rincasasse in via dell’Arcoveggio.
Dei vicini di casa della donna avevano provato a fermarlo, frapponendosi tra lui e la 57enne. A quel punto lei, che un attimo prima era al telefono con la sorella, era già in fin di vita. Quando era stata soccorsa le sue condizioni erano disperate: poco dopo essere arrivata all’Ospedale Maggiore di Bologna, infatti, era morta. Padovani intanto era stato fermato e trasferito in carcere.
Davanti agli inquirenti ha più volte parlato della “relazione tossica” che lo legava alla donna, sostenendo che stesse male perché ne era stato manipolato e che entrambi fossero gelosi. È ciò che ha riferito anche sua madre quando, ad inizio ottobre, è stata ascoltata come testimone in aula.
Le sue parole hanno provocato lo sdegno dei familiari di Alessandra che, rappresentati dagli avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, chiedono ora che sia fatta giustizia. In questo articolo riportavamo la testimonianza della sorella Stefania, l’ultima ad aver sentito la 57enne: Un anno dal femminicidio di Alessandra Matteuzzi a Bologna, la sorella: “Sento ancora le sue grida”.
Era stata lei a chiamare i carabinieri, chiedendo loro di recarsi sul posto. Quando erano arrivati tutto era già finito. E Padovani, bloccato dalle persone intervenute, continuava a pronunciare frasi sconnesse. “Non ce l’ho con voi, ma con lei”, diceva: era convinto di esserne stato tradito.