Stati Uniti, da una parte. Cina, dall’altra. In mezzo questa gigantesca partita a scacchi da giocare sotto la grandine, se Claudio Pagliara ci concede la metafora. Del resto, questa non si discosta molto da quella pensata per il suo nuovo libro, intitolato appunto “La tempesta perfetta. USA e Cina sull’orlo della terza guerra mondiale” (editore Piemme, 281 pagg., 19,90 Euro). Un saggio in cui il corrispondente Rai dagli Stati Uniti, e per sei anni dalla Cina, descrive due superpotenze, le relative schermaglie e offre un interessante filtro per poter meglio osservare “l’eclisse” in atto in Medio Oriente, tra Israele, Hamas e Palestina.
Pagliara (corrispondente Rai): “Pace in Medio Oriente possibile con una leadership forte in Palestina”
Com’è vivere il dualismo Stati Uniti e Cina da cronista?
“Ho avuto la fortuna di vivere la Cina negli anni cruciali seguiti all’insediamento di Xi Jinping e dunque alla trasformazione del Paese. Ho potuto fare i dovuti confronti, partendo anzitutto dall’adagio secondo cui il ventunesimo sia il secolo dell’Asia. L’idea è che non sia soltanto un braccio di ferro tra superpotenze, bensì una questione di valori. Uno scontro tra democrazie e autocrazie in cui l’occidente non può restare neutrale”.
Confronto anche tecnologico…
“La Cina ha studiato a fondo il segreto dell’egemonia americana ed è arrivata alla conclusione che questa si basasse su soft power (dunque l’abilità persuasiva degli States nei grandi teatri internazionali, ndr) e tecnologia. Essendo tagliata fuori dal primo fattore, ha puntato tutto sul secondo, investendo moltissimo e facendo compiere al Paese un balzo importante, tanto che gli Stati Uniti hanno avvertito concreta la minaccia. Il grande interrogativo dunque è: Pechino sarà in grado, su questo piano, di scacciare i rivali dall’Asia, così come sta cercando di fare con l’uso della forza e delle pressioni militari che attua negli atolli del Mar Cinese meridionale o nelle esercitazioni nelle acque di Taiwan? Sono già trascorsi 25 anni e il secolo resta quello americano”.
Biden ha ereditato i rapporti internazionali lasciati da Trump (su tutti quelli, oramai più che compromessi, con l’Iran), Xi Jinping invece?
“È sempre impegnato a mobilitare il cosiddetto Global South, partendo dai Paesi del BRICS (l’acronimo sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; ndr) e arruolando altri paesi come appunto l’Iran. Tutti Paesi che hanno delle questioni aperte con gli Stati Uniti ma sono ben lungi dal comporre una coalizione di valori omogenea. Con il coinvolgimento dell’Occidente sulla questione ucraina, Biden ha dimostrato di essere ancora in grado di mobilitare quello che qui in America chiamano “mondo libero“. Biden non ha rimosso nessuna delle sanzioni commerciali che aveva imposto Trump nei confronti di Pechino e, anzi, le ha inasprite, trasformando la guerra commerciale in guerra tecnologica. Non dimentichiamo l’ottobre 2022, quando, con restrizioni draconiane sulla vendita di microchip avanzati, è riuscito a mettere fuori mercato un colosso come Huawei“.
Spostandoci in Medio Oriente…?
“La grande architettura di Biden di allargare all’Arabia Saudita gli Accordi di Abramo, crollata con gli attacchi di Hamas, avrebbe comportato per Israele la necessità di cedere a concessioni sostanziali ai palestinesi, in particolare in Cisgiordania, e certo dotarsi di un governo diverso da quello di destra formato da Netanyahu. Sarebbe stata una svolta epocale per tutto il Medio Oriente, considerando che l’Arabia Saudita è custode dei luoghi più sacri dell’Islam. Trovo falsa la conclusione secondo cui Israele non voglia uno Stato palestinese. Al momento in cui la Palestina si dotasse di una leadership forte, che a sua volta riconoscesse il diritto di esistere a Israele, ovviamente all’interno di confini da negoziare, la pace sarebbe possibile. Non è soltanto una questione territoriale”.
“Le Presidenziali? Biden è su un altro piano rispetto a Trump per la politica interna. Su quella estera prosegue nel suo solco”
Negli Stati Uniti si sta arrivando a una nuova sfida Biden-Trump, che tra l’altro vede in vantaggio il tycoon.
“Se in politica interna le differenze sono abissali, considerando anche la transizione verde, su Medio Oriente e Cina percorrono lo stesso solco. Biden con una forza in più, che è stata quella di essere riuscito a coinvolgere maggiormente la Nato e l’Europa, mentre Trump sfoggiava questa maniera rozza di gestire ed era un continuo ‘Quanto contribuite per la difesa?’ Paradossalmente, però, anche Putin è riuscito, logicamente in modo involontario, a dimostrare che l’Occidente incarna un valore ancora necessario per il rispetto delle regole“.
Quanto sarà equilibrato il confronto Biden-Trump?
“Qualcuno li chiama Stati Divisi d’America. Biden ha totalmente fallito nel suo proposito di unire un Paese fortemente spaccato ed è particolarmente avanti negli anni. Tuttavia scommette di guidare gli States fino a 86 anni. Dall’altra parte, c’è invece un Trump coinvolto in tante inchieste giudiziarie e che continua a mantenere la propria forza in una parte importante dell’elettorato americano“.
Nella prima parte del libro si parla molto del problema della gestione delle armi.
“La vera piaga degli Stati Uniti. La mia impressione da cronista è che, nonostante quanto si dica sul potere della lobby delle armi, ciò che dà una speranza per arrivare a una regolamentazione più stretta alla diffusione delle armi è l’affermarsi di un movimento composto da mamme che hanno perso bambini uccisi a scuola. C’è anche un deputato che dice di aver cambiato idea dopo l’ultimo massacro. Perché cambiare si può”.