Con la cedolare secca sugli affitti brevi del 26% dal 1° gennaio 2024, come si legge nella bozza della nuova legge di Bilancio, quale soluzione conviene ai proprietari delle abitazioni ai fini della tassazione? Finora la scelta per la maggior parte dei contribuenti era stata dettata dalla percentuale più bassa della cedolare secca, pari al 21%.

Tale aliquota rimarrà solo se il contribuente abbia un solo locale da dare in affitto. A partire da due locali in su, con contratti di locazione brevi, l’aliquota sale al 26%. Pertanto, la scelta è tra la tassa piatta e l’imposta ordinaria Irpef: il nuovo prelievo assottiglia la convenienza e potrebbe risultare più caro per metà della platea dei contribuenti. Ecco quali sono i fattori da tenere in considerazione per effettuare la scelta. 

Cedolare secca 26% o tassa ordinaria Irpef, quale conviene di più sugli affitti brevi? 

Con l’aumento della cedolare secca al 26 per cento, quale conviene di più tra la tassa fissa e quella ordinaria? La novità arriva dalla bozza della legge di Bilancio 2024 e prevede, dunque, un innalzamento dell’imposta fissa sugli affitti brevi dal 21% del 2023 al 26% del 2024.

Finora, su 3,6 milioni di appartamenti dati in locazione dai contribuenti, 2,7 milioni sono stati assoggettati all’imposta fissa del 21%. Con l’aumento dell’aliquota, cambiano le carte in tavola e i fattori da tenere in considerazione sono svariati. 

Cedolare secca o tassazione ordinaria, quale conviene a seconda del reddito? 

In primis, il reddito annuo dichiarato dal contribuente. Infatti, con la riforma fiscale del prossimo anno, cambiano anche le aliquote Irpef applicate ai redditi. Chi supera i 28.000 euro lordi all’anno, dal 2024 pagherà il 35 per cento di Irpef.

Se, dunque, il contribuente rientra in questa fascia di reddito, conviene sempre la cedolare secca, sia al 21% che al 26%. C’è da considerare inoltre che, in caso di registrazione del contratto di locazione, sono da pagarsi il bollo e l’imposta di registro. Secondo le statistiche relative ai contribuenti, la metà di chi offre una casa in affitto breve ha un reddito superiore a 28.000 euro. 

Affitti brevi, quale tassazione scegliere? 

Il secondo fattore da considerare nella scelta tra la cedolare secca e la tassazione ordinaria Irpef è rappresentato dalle addizionali. Per chi guadagna fino a 28.000 euro, dal 2024 avrà un’unica aliquota Irpef del 23%. Si tratta della novità più importante della legge delega di riforma fiscale. Il calcolo per verificare il vantaggio dell’una o dell’altra tassazione sugli affitti brevi consiste nel confronto tra il 23% di Irpef (applicato sul 95 per cento del canone grazie alla deduzione forfettaria) e le cedolare secca del 21% sul canone intero nel caso di una sola casa data in locazione, o del 26% se si tratta di almeno due case. 

Quante tasse si pagano sugli affitti brevi? 

Conti alla mano, su una locazione di 1.000 euro, la tassazione ordinaria Irpef ha un onere di 219 euro, la cedolare secca arriva a 260 euro (più case) o a 210 euro (una sola casa). La differenza non è tanta, ma a essere più conveniente è la cedolare secca se è del 21 per cento. 

Per chi è soggetto alla cedolare secca del 26%, potrebbe esserci la convenienza a passare alla tassazione ordinaria Irpef. In tal caso, però, vanno valutate anche le addizionali locali Irpef, con percentuali che, sull’imposta regionale, possono arrivare al 3 per cento nella fascia dei redditi da 15.000 a 28.000 euro, e dello 0,8 per cento per le addizionali comunali. 

Infine, sono da tener conto anche i bonus, a prescindere dal reddito dichiarato. Infatti, questi ultimi entrano in gioco nel momento in cui si cerca di sfruttare le detrazioni nella dichiarazione dei redditi, facendo pendere l’ago verso la tassazione ordinaria, in modo da ridurre l’Irpef dovuta.